Rieti, morte di Mariangela:
vertice con i Ris sull'inchiesta

Il luogo del ritrovamento
di Mario Bergamini
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Sabato 21 Maggio 2016, 07:51 - Ultimo aggiornamento: 18:27
RIETI - Rieti-Borgorose-Roma e ritorno. Viaggia lungo questo triangolo la soluzione del giallo di Mariangela Mancini, la trentatreenne di Spedino di Borgorose scomparsa il 12 maggio e ritrovata senza vita il giorno successivo, ai margini di una stradina di campagna. A una settimana esatta dall’inizio delle indagini, gli inquirenti reatini si sono ieri mattina portati a Roma per relazionarsi con gli uomini del Reparto investigatico speciale dei carabinieri. Il procuratore capo Giuseppe Saieva e la pmCristina Cambi si sono confrontati per oltre due ore con il colonello Luigi Ripani e i suoi. Al centro dell’incontro i reperti - già inviati nella sede dei Ris capitolini nella giornata di martedì - rinvenuti nel bosco di Fonte San Paolo di Spedino. Reperti sui quali saranno eseguiti una serie di accertamenti che potrebbe rivelarsi determinanti per le indagini. Si tratta, in primo luogo, degli indumenti che indossava Mariangela quando è stata trovata morta (indumenti asciutti, nonostante in zona, nella notte della scomparsa, abbia infuriato per ore un temporale).

Ma anche della bottiglia di acido muriatico rinvenuta a pochi metri dal suo corpo e di una busta in plastica, anch'essa repertata nel bosco di Fonte San Paolo di Spedino e che, secondo una delle prime ipotesi investigative formulate, la ragazza potrebbe aver usato arrotolata per strangolarsi. All'attenzione degli specialisti dell'Arma anche il cellulare di Mariangela e altre evidenze rilevate durante l'autopsia e i successivi sopralluoghi compiuti nel bosco dei misteri di Spedino.

La morte della trentatreenne, ricordiamo, risalirebbe secondo gli accertamenti del medico legale intorno alle 14 del giorno della scomparsa, ma cosa sia realmente accaduto nelle ventiquattro ore successive è davvero ancora poco chiaro. A insospettire da subito gli investigatori i segni sul collo della vittima - compatibili con l'ipotesi dello strangolamento - e che, a parere dello stesso capo della procura Giuseppe Saieva, escluderebbero la morte accidentale e la prima ipotesi del suicidio.

Si tratta di segni che circondano tutto il collo, alti circa un centimetro e che potrebbero essere stati prodotti dall'azione di un corpo filiforme, un nastro o una fettuccia, con cui sarebbe stato stretto il collo di Mariangela. Non è poi chiaro se l'acido muriatico trovato nello stomaco della donna, contenuto in una bottiglia rinvenuta a una ventina di metri dal corpo, sia stato ingerito da Mariangela stessa o introdotto nella sua bocca da altri dopo la morte, per depistare le indagini. A inizio settimana, i sospetti degli investigatori si sono concentrati su un giovane di 21 anni, ospite di una comunità di recupero della zona e che tra le prime ore di giovedì e la mattinata di venerdì si sarebbe allontano dal centro, per poi farvi ritorno.

Rintracciato dai carabinieri, il giovane presentava graffi alle braccia, ma ha negato qualsiasi coinvolgimento con il decesso di Mariangela. Il ragazzo non risulta indagato e nessun prelievo di dna è stato nei suoi confronti effettuato. Nel pomeriggio di venerdì, invece, la pm Cambi ha ascoltato in Procura i familiari di Mariangela: il fidanzato Luca Maceroni, il fratello di Luca, la mamma, la sorella e il fratello di Mariangela e la suocera. Colloqui individuali, attraverso i quali la pm ha cercato di ricostruire un quadro più possibile realistico della personalità della ragazza, dei suoi interessi e delle persone con le quali interagiva. Nel registro degli indagati, è bene ribadire, non risultano al momento iscritti. Le risposte che mancano per risolvere un mistero che, ora dopo ora, sembra infittirsi, potrebbero arrivare dall'esito degli accertamenti medico-legali e dai reperti al vaglio dei Ris.
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