Il ricordo
Andrea scava nelle pieghe di un cantautore entrato nel mito. E sui miti, si sa, circolano anche voci e leggende, metropolitane o paesane che siano. «Non ha mai rinnegato le origini, ma è vero che non tornava volentieri a Poggio Bustone, non vedeva di buon occhio i paesani della generazione del padre, e il motivo c’è». Barbacane riferisce che in tempo di guerra il papà di Lucio combatté strenuamente per salvare vite, e nonostante questo fu tacciato di essere complice dei fascisti.
«Nonno non ha mai nascosto idee di destra - dice il nipote - ma non si sarebbe mai messo contro i paesani. Loro gli furono sempre ostili, finché non divenne “zì Alfiero”: guarda caso quando il figlio diventò famoso». Un’ipocrisia che Lucio non avrebbe mai tollerato, e lo avrebbe portato a essere infastidito dal paese natale, dove tornerà poco e controvoglia.
«La conferma arrivò nel 2008 - prosegue Andrea - al funerale di nonno c’erano quattro gatti, cosa che non sarebbe mai successa se zio fosse stato ancora vivo: in quel caso sarebbe stato un delirio di foto e convenevoli». I rapporti tra Lucio Battisti e la sorella si fanno sempre più tesi, «mamma voleva addirittura cambiare cognome», complice anche la separazione tra Albarita e Luigi, cognato troppo supponente: «Papà pretendeva che zio lo aiutasse, come fosse un obbligo, e questa mancanza di umiltà ha infastidito e rotto gli equilibri». Il più grande rammarico di Andrea resta quello di aver vissuto poco «quel gran genio di suo zio». «Aiuti economici? Non ce ne sono stati, ma io mi sono sempre mantenuto da solo. Mi sarebbe solo piaciuto un interessamento generale maggiore verso di noi». Troppi impegni, incrinature parentali o proiezione esclusiva verso la moglie Grazia Letizia e il figlio Luca? «Non lo so, non ho fatto in tempo a chiederglielo. Ma la magia di uno zio così speciale avrei voluto respirarla di più».
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