Rieti, coronavirus, l'informatico
Leonardo Severi in Francia:
«Tante vittime ma qui la si vive
diversamente, mai da solo»

Leonardo Severi nella sua casa di Grenoble, in Francia.
di Raffaele Passaro
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Mercoledì 22 Aprile 2020, 13:00

RIETI - Il coronavirus, con il suo rapido sviluppo non solo in Italia ma in altri Paesi europei e non, ha costretto molti reatini a tornare a casa dalle loro sedi estere. Non è questo, però, il caso di Leonardo Severi, 22enne reatino, che da agosto vive, studia e lavora a Grenoble, comune della Francia sud-orientale. Il giovane ingegnere informatico ha scelto di non ritornare nel Reatino nonostante il veloce sviluppo del Covid-19 anche nel Paese francese.

Com’è la situazione in Francia? Qualche giorno fa sono stati superati i 20mila decessi…è preoccupato?
«La situazione in Francia è abbastanza tranquilla, forse troppo, a mio avviso... Non sono particolarmente preoccupato per me stesso per più motivi: sono giovane, in salute, così come le persone con le quali vivo; sono, però, un po’ “turbato” per come vedo che la popolazione stia affrontando la cosa, ovvero le conseguenze che questo potrà avere sugli anziani».
 
Com’è, invece, la situazione a Grenoble, città in cui vive?
«Quando parlo della Francia, a dire il vero, mi riferisco a ciò che vedo qui a Grenoble: a livello di disposizioni del governo, la situazione è come in Italia, tuttavia posso fare un paragone tra quello che mi dicono i miei genitori che abitano a Montisola (comune di Contigliano) e quello che vedo qui. Quando vado al supermercato vedo gente che corre, che va in bicicletta, so di gente che si incontra nelle case, al supermercato si entra in tanti e le mascherine non sono obbligatorie, inoltre mai nessuno ci ha controllato l’autocertificazione; insomma, un modo di combattere questo virus assolutamente diverso da come, mi pare, lo si faccia in Italia…».
 
Come procedono gli studi?
«Sono laureato alla triennale di Ingegneria Informatica al Politecnico di Torino, ora sono in Francia per ragioni di studio, più precisamente sono in un programma Erasmus che è la doppia laurea: ciò consente di frequentare il primo anno di Laurea Magistrale nella propria università di provenienza e un altro anno più un semestre aggiuntivo in un’università di un’altra nazione (Grenoble-INP Ensimag nel mio caso). Questo semestre, tuttavia, essendo l’ultimo per gli studenti ordinari dell’École d’Ingénieurs è dedicato al progetto di tesi che qui normalmente, si svolge in azienda, perciò attualmente lavoro».
 
A proposito del lavoro, com’è cambiato il modo di lavorare?
«Beh, è cambiato sicuramente. Da quando anche qui è cominciata la quarantena vera e propria, ho iniziato a lavorare da casa. Inizialmente, l’azienda per la quale lavoro non era molto preparata e sono stato per una settimana circa “in standby”, sebbene avessi (e abbia tutt’ora) altre cose da portare avanti sempre per le università, che impegnavano e impegnano il mio tempo. Successivamente, hanno disposto l’infrastruttura software per consentirmi di continuare a lavorare da casa. Lo smart working è bello e comodo, perché la gestione degli orari di lavoro è libera, si salva il tempo necessario per arrivare in sede e si mangia a casa…tuttavia, per un tirocinante come me, che avevo iniziato da 3 settimane a lavorare in ufficio, l’assenza di un contatto costante con i colleghi/tutor resta un deficit».
 
Come trascorre le giornate? Per la spesa come fa?
«Trascorro le giornate dedicandomi prevalentemente a ciò che devo fare per l’università e il lavoro. Condivido la casa con 2 ragazze italiane e un ragazzo francese, perciò non sono da solo. Fortunatamente ci troviamo molto bene tra di noi e durante i pasti, nei dopocena e nel fine settimana comunque ci svaghiamo con serie tv, film, giochi di società. Per la spesa, sinceramente, facciamo come abbiamo sempre fatto: abbiamo una panetteria letteralmente sotto casa, che ci consente di non andare più di una-due volte a settimana al supermercato, in totale per tutti».
 
Come mai, a differenza di molti italiani fuorisede, ha scelto di rimanere in Francia e di non ritornare a Rieti?
«A dir la verità, sono tornato in Francia appena in tempo prima delle prime limitazioni negli spostamenti in Italia. Dovevo iniziare il tirocinio il 2 marzo e così è stato, dopo che l’Italia è stata dichiarata tutta “zona rossa”, io ho continuato ad andare in Ufficio per altri 10 giorni prima che si decidesse lo stesso qui. A quel punto, anche volendo, sarebbe stato complicato e poco responsabile muoversi per tornare a casa. Sicuramente mi avrebbe fatto piacere stare con la mia famiglia, ma per il resto sarebbe stato anche un po’ scomodo».
 
 
Come sta vivendo questo periodo lontano da Rieti?
«Anzitutto, c’è da dire che questo è il quinto anno che torno a Rieti solo per le pause: l’Università che mi ospita concede, infatti, qualche momento libero in più rispetto al Politecnico, tant’è che nell’arco di un semestre ho avuto modo di tornare a casa 3 volte, l’ultima è stata intorno a metà febbraio. Detto ciò, Rieti, le sue campagne e Montisola dove ho passato i miei primi 18 anni, mi sono sempre mancate: ormai, ogni volta che torno nel Reatino, la vivo come una vera e propria vacanza. Per quanto riguarda i miei genitori, nonostante siano -un po’ come tutti- preoccupati dal  non sapere come effettivamente evolverà questa situazione, sono contenti che io possa continuare la mia vita senza grossi cambiamenti, che possa continuare nel mio percorso nonostante la situazione e hanno discreta fiducia nelle politiche degli stati Europei nel fronteggiare la crisi».
 
Ritornando all’attualità transalpina, Il presidente Macron ha annunciato di voler porre fine al lockdown l’11 maggio, riaprendo anche le scuole; questa decisione ha però scatenato varie proteste di molti insegnanti. Cosa ne pensi a riguardo?
«Commentare scelte del genere non è facile, tanto meno lo è farle… così come non è facile essere certi che ciò che è stato annunciato quasi un mese prima avrà effettivamente luogo così come è stato annunciato; potrebbe, ad esempio, essere una riapertura parziale che riguardi solo alcune situazioni particolari (come istituti che non siano riusciti a migrare verso il digitale). Personalmente, sono dell’idea che più si sta a casa e meglio è, ma è anche vero che se la scienza non riesce a trovare soluzioni in tempo record, il massimo che legislatori e governi possono fare è ridurre il tasso di contagio e tentare di mantenerlo ad un livello tale da essere gestibile dai sistemi sanitari senza sovraffollamenti. In caso contrario, per tamponare il problema “pandemia”, si rischiano collassi in sistemi economici e servizi…collassi che causerebbero altrettanti guai, oltre a quelli che il virus causa già di per sè».
 
A quando la normalità?
«Dipende da cosa si intende per normalità: se intendiamo il poter uscire in piazza e “farsi due vasche” in via Roma (come si dice a Rieti) senza doversi giustificare, a mio avviso già quest’estate ci si arriverà semplicemente continuando a tenere le precauzioni attuali ancora per un po’; se invece parliamo di fare tutto quello che facevamo prima, compresi viaggi all’estero, vacanze in posti affollati, eventi, senza aver paura, penso che dovremo attendere il momento in cui questa malattia sarà vista come altre malattie più o meno gravi ma curabili o facilmente prevenibili, ad esempio con un vaccino».

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