Rieti, malasanità e burocrazia:
giovane operaio reatino
perde il posto di lavoro

Ispettori del lavoro
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Lunedì 22 Maggio 2017, 07:52 - Ultimo aggiornamento: 13:27
RIETI - Malasanità, intoppi burocratici e «buchi» legislativi. E' l'insieme di variabili da incubo che hanno fatto precipitare un operaio reatino in una situazione kafkiana che va avanti da 6 mesi. Scivolato sul posto di lavoro, ha avuto una diagnosi sbagliata che lo ha costretto ad andare avanti per 6 mesi tra stampelle e tutori. Nel frattempo l'Inail ha deciso di non riconoscergli più la prosecuzione della copertura per l'infortunio, per motivi mai chiariti.

Il medico aziendale non lo può riammettere al lavoro e il medico di famiglia è impossibilitato a fare un certificato di malattia, perché di malattia non si tratta. Un rimpallo continuo che ha lasciato l'operaio in un limbo, senza la possibilità di fare alcunché di legale per salvaguardare il proprio posto di lavoro. In questo quadro desolante, l'unica nota positiva è arrivata proprio dall'azienda che sta facendo di tutto per aiutare il malcapitato a superare il problema.

L'INCIDENTE
Tutto è iniziato lo scorso 11 novembre. «Mentre ero al lavoro racconta l'uomo, addetto al confezionamento di alimenti in un'azienda al nucleo industriale sono scivolato e ho preso una brutta storta. Sono andato in ospedale dove mi hanno riscontrato una frattura alla base del quinto metatarso del piede sinistro e mi hanno fatto mettere una valva e poi un tutore». Come da prassi, è partita la procedura all'Inail per infortunio sul lavoro ed è iniziato un lungo iter di visite. Dopo una decina di controlli e oltre 3 mesi, la situazione non migliorava. «All'ennesimo controllo dice l'operaio mi hanno fatto fare una tac, dalla quale è emerso che si era creata una pseudo artrosi, una calcificazione irregolare, con la frattura non rimarginata». Un problema che sarebbe stato causato dall'uso del tutore e non del gesso, che ha reso necessario un intervento chirurgico in una clinica di Cesena, fatto il 6 maggio.

FALLA LEGISLATIVA
A peggiorare il tutto arrivano i guai burocratici. «Il medico Inail dice l'operaio mi riconosce 3 punti di invalidità ma, nonostante l'operazione fissata, chiude l'infortunio e il 18 aprile mi rimanda al lavoro. Come prescrive la legge, per rientrare in servizio devo passare la vista del medico aziendale. Vista la situazione, non mi riaccetta. Per giustificare la mia assenza, vado dal medico curante, ma lui non mi può fare il certificato perché la mia non è una malattia, ma una prosecuzione dell'infortunio che non può certificare». In questo rimpallo l'uomo si trova in un limbo, torna all'Inail, ma non trova supporto.

«Sono andato all'ispettorato del lavoro - spiega - e infine dai carabinieri. Dopo 3 giorni l'Inail mi richiama e propone una soluzione: fare un certificato di stato di salute dal mio medico, con il quale presentare un ricorso contro la chiusura dell'infortunio. Faccio così affidandomi a un patronato ma, nonostante le assicurazioni del direttore Inail, il ricorso viene rigettato».

Si arriva al 6 maggio, giorno dell'operazione a Cesena. Col certificato ospedaliero, l'Inail riapre la pratica di infortunio per ricaduta, nonostante si trattasse di una prosecuzione. Il problema resta per i 20 giorni tra metà aprile e maggio, nei quali l'uomo non è andato al lavoro. L'azienda, cercando di aiutarlo, gli concede le ferie, ma si tratta di una scelta al limite della legalità. «Non so più cosa fare conclude l'uomo ma voglio andare fino in fondo per chiedere giustizia».
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