RIETI - «Se non sai cos’è, allora è jazz». Conversando con Danilo Rea capita di citare la celebre frase di Alessandro Baricco, tra una tappa e l’altra di un’estate prolifica che più non si potrebbe. «È un momento molto serrato, che mi sta facendo suonare meglio. Forse dopo la lunga stasi per la pandemia oggi si fanno i live con più entusiasmo. Più suoni più ti appassioni e il contatto con il pubblico quest’anno mi sta dando tantissimo». Danilo Rea è uno dei pianisti jazz italiani più apprezzati al mondo e uno dei più versatili e sperimentali. “Di casa” al teatro Flavio Vespasiano di Rieti, dove a maggio si esibì a quattro mani con il pianista classico Ramin Bahrami, mercoledì 17 agosto alle 21 arriverà al Labro Festival: e a proposito di versatilità, stavolta non si suona Bach, ma Enrico Caruso. Lirica, classica, pop e rock, con una padronanza dello strumento fuori dal comune: «Non sta a me dirlo - afferma Rea - ho lavorato un po’ in tutti i campi, dalla formazione classica a Santa Cecilia fino al rock degli anni ‘70, che ho molto amato. Mi hanno molto segnato le collaborazioni con Mina, Baglioni, Rino Gaetano, Modugno che era il mio mito, poi il sodalizio con Gino Paoli, Fiorella Mannoia. Da questi e altri artisti ho imparato l’importanza della melodia: non sono un jazzista che va per conto proprio, nel mio modo di suonare la melodia è sempre presente».
Sul palco. A Labro Danilo Rea sarà sul palcoscenico con Barbara Bovoli, musica e voce che si rincorreranno sottolineando la carriera di Caruso: «È stata un’idea della regista Alessandra Pizzi, che mi ha chiamato e proposto questa lettura su Caruso.