Le modalità
Sotto la lente monitoraggio di persone in transito, minutaggi, orari, passaggi di scooter e auto, tempi di percorrenza e punti fissi di riferimento per le parcellizzazioni temporali (luogo della telecamera, ombra proiettata in strada da un albero di nocciolo o l’intersezione tra via Coste e via Fonte Cupido). La telecamera filmò il passaggio di alcune auto - un maggiolone rosso e un veicolo scuro - pochi minuti prima della visibilità della colonna di fumo e di uno scooter guidato da una persona di media corporatura con casco scuro e t-shirt bianca. Quello scooter era condotto dal giovane sabino che transitava in quel momento e che - secondo le indagini del Gruppo carabinieri forestali di Rieti tramite il Mef - avrebbe poi appiccato l’incendio anche se il 23enne non fu colto in flagrante, né filmato nell’atto dell’innesco incendiario. Alcuni conducenti di auto transitati in orari compatibili con lo sprigionarsi delle fiamme non furono mai identificati. Il pm aveva sollecitato una richiesta di condanna a 4 anni. Un castello accusatorio contestato in più punti dalla tesi difensiva: la telecamera non includeva l’intera visuale dell’area, dove erano presenti altre vie di accesso rimaste fuori campo. Messa in rilievo la presenza di una persona ripresa per 2 secondi dalla telecamera addentrarsi lungo la strada nonché movimenti anomali 13 minuti prima dell’inizio dell’incendio. Un dibattimento dal quale sono emerse diverse posizioni di dubbio rispetto ad altri soggetti, ma non nei confronti di Pariboni, assolto dal giudice, Carlo Sabatini. A margine dell’arresto del presunto piromane ci fu un comunicato stampa della Specialità forestale dell’Arma a descrivere le fasi salienti delle indagini. Si trattò di un incendio vastissimo, spinto da una giornata calda e ventosa che richiese l’impiego di squadre da terra e mezzi aerei. «Un’indagine che ha sempre voluto avvalorare una sorta di tesi precostituita, che vedeva colpevole il mio assistito - commenta l’avvocato Inches con la collega Carla Palumbo - cercando conferme a ipotesi investigative, a nostro parere, carenti e contraddittorie. Ciò che conta è che sia finito un incubo per un giovane martoriato, sotto misura cautelare per due anni, finito ai domiciliari e poi sottoposto a obbligo di firma, il cui unico interesse era dimostrare la sua innocenza».
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