Rieti, in tanti per l'ultimo commovente
saluto a Federico Carucci.
Uscita sulle note
di "We are the Champions". Foto

L'uscita del feretro dalla cattedrale (foto Riccardo Fabi/Meloccaro)
di Marco Ferroni
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Mercoledì 15 Gennaio 2020, 17:17 - Ultimo aggiornamento: 20:00

RIETI - Le tre navate della cattedrale di Santa Maria a fatica sono riuscite a contenere le tante persone che non sono volute mancare alle esequie di Federico Carucci, 46 anni, morto lunedì scorso vinto da un male incurabile.
 

 

FEDERICO E LA PALLA OVALE
In chiesa per l'ultimo saluto al rugbista reatino, uno dei migliori mediani di mischia che la storia della palla ovale amarantoceleste ricordi, c'era l'intero movimento rugbistico della città, giocatori di ieri e di oggi: da Dino Giovannelli a Mario Pariboni e Umberto Montella, da Gianluca Ravaioli a Massimo Marchetti e Andrea Rinaldi, passando per Alfredo De Angelis, Alessandro Turetta e Mauro Gudini, nessuno escluso. C'era anche Maurizio Amedei consigliere Fir che ha portato alla famiglia il saluto e il messaggio di cordoglio dell'ex ct della Nazionale Georges Coste. Tutti amorevolmente intorno alla salma, ricoperta di un cuscino di rose gialle e le maglie degli Arieti e della Sabina Rugby con la quale ha chiuso la carriera. Rigorosamente griffate numero 9, il suo "numero 9" come ricordavano in tanti durante la messa.

PAROLE DOLCI E TOCCANTI
A officiare le esequie don Paolo Blasetti che nel tentare di consolare mamma Giovanna, la compagna Claudia i fratelli Alessio, Anna Cecilia e Leonardo ha voluto usare le parole dolci e significative di Sant'Agostino che recitavano così: "Signore, non ti chiedo perché me lo hai tolto, ma ti ringrazio per il tempo che me lo hai donato". Don Paolo Blasetti ha poi voluto mettere in contrapposizione i due lati della stessa medaglia di Federico, rugbista e pescatore, "amante della compagnia ma anche della solitudine". 

IL TATUAGGIO
E subito dopo la benedizione della salma, un parente della famiglia Carucci ha letto alcuni messaggi arrivati in quei giorni di lotta contro il male di Federico e raccontato alcuni aneddoti, tra cui il tatuaggio sul braccio sinistro, la poesia di un Nelson Mandela "Sono capitano del mio destino" che recita così: "Non importa quanto sia stretta la porta, quanto piena di castighi la vita: io sono il padrone del mio destino, io sono il capitano della mia anima". 

"WE ARE THE CHAMPIONS"
Al termine della cerimonia, la bara di Federico Carucci è stata portata a spalla sul sagrato della cattedrale dai suoi ex compagni di squadra e amici di sempre mentre dagli altoparlanti un Freddie Mercury d'annata si lasciava andare al più classico (e toccante) "We are the Champions". 

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