Rieti, Turania e i segreti
di Emanuela Orlandi

Il poster del 1983 per le ricerche di Emanuela Orlandi
di Fabrizio Colarieti
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Mercoledì 13 Maggio 2020, 01:11 - Ultimo aggiornamento: 14 Febbraio, 19:23
RIETI - Con la morte della moglie del boss della Banda Magliana, torna attuale il legame tra don Vergari, la donna e il caso di Emanuela Orlandi.
Turania custodisce un prete e un segreto. Li nasconde nel silenzio dei suoi viottoli che si arrampicano fino all’unica piazzetta del paese. Ci si arriva attraverso una stradina, ripida e discreta, che sbuca proprio su piazza Umberto I. La casa dei misteri, che da qualche anno somiglia alle quattro mura di una cella di penitenza, è dentro un ex asilo comunale. Qualche stanza e un balconcino che affaccia direttamente sulla piazzetta (nella foto). E monsignor Piero Vergari è ancora lì che abita. Il piccolo centro dell’alto Turano, l’ultimo comune a un passo dal confine tra Lazio e Abruzzo, è il ritiro scelto dall’anziano sacerdote.
E quello che sa, le domande cui non ha mai risposto, anche quando a formulargliele, in più occasioni, è stata la giustizia terrena, probabilmente, se ne andrà con lui. Don Piero recita da anni una parte, fedele a Cristo ma anche a un copione pagano. Lo stesso recitato, fino all’ultimo, da Carla Di Giovanni. Non un nome qualunque, il suo. Era la moglie di “Renatino” De Pedis, il boss della Banda della Magliana, ucciso a Roma, con un colpo di pistola in via del Pellegrino, nel ‘90. Se n’è andata nei giorni scorsi, a 70 anni, dopo una lunga malattia. E i due, il prete di paese e la moglie dell’uomo chiave della più potente holding criminale di tutti i tempi, di segreti ne conoscevano e ne condividevano molti. Soprattutto - questo è il sospetto che ha tormentato un paio di generazioni di investigatori - sul caso della scomparsa (avvenuta nel giugno del 1983) della 15enne cittadina vaticana Emanuela Orlandi.
Una faccenda, nera e intrigata, che tormenta e insegue anche monsignor Vergari. E’ proprio della Orlandi, infatti, che la vedova De Pedis e il sacerdote parlavano al telefono, il 15 dicembre 2009. I due si conoscevano bene, perché il prelato, quando era rettore a Sant’Apollinare a Roma, consentì di tumulare il boss in quella stessa Basilica. Vergari e Renatino si erano avvicinati anni prima, quando il noto esponente della criminalità romana era detenuto a Regina Coeli, di cui il curato era cappellano. E quando gli spararono, il monsignore prese carta e penna e raccomandò al cardinale Ugo Poletti l’anima del dannato della Magliana, perché, spiegò lo stesso monsignore, «faceva del bene ed era molto credente, aiutava i poveri, i sacerdoti e i seminaristi», e, dunque, meritava una degna sepoltura. Don Piero ripete da anni di non sapere nulla delle sorti della povera 15enne, del resto, scrisse una volta sul suo blog (oggi cancellato), «la Chiesa non si pone domande».
La Chiesa no, ma la magistratura sì. Ne è prova quella telefonata, intercettata durante l’inchiesta della Procura di Roma sulla scomparsa della Orlandi che vedeva indagato pure Vergari (archiviata nel 2015). Un colloquio che gli inquirenti, pur non trovando appigli per andare avanti, definirono interessante «perché i due si accordano su quanto dire in procura». La signora De Pedis suggerì al sacerdote la linea da tenere di fronte ai pm di Piazzale Clodio, e cioè di non ricondurre la sua conoscenza con il boss al 1983, l’anno in cui sparì la ragazzina. Un fattaccio che entra in quella telefonata di sfuggita, uscendo dalla bocca del prete e senza fare nomi: «si parla di una ragazza morta», poi si corregge «sparita 10 anni prima» dell’uccisione di Renatino.
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