Rieti, droga ceduta per terapia: assolto

Tribunale di Rieti
di E.F.
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Domenica 13 Giugno 2021, 00:10

RIETI - Il quadro probatorio raccolto dagli investigatori della IV Sezione antidroga della Squadra mobile di Rieti, nei suoi confronti, in fase di indagini, era stato sufficiente a ritenere dimostrata la configurazione di una serie di reati, che lo avevano successivamente portato sotto processo, con le pesanti accuse di detenzione a fini di spaccio (hashish e marijuana) nonché di aver ceduto venti dosi di cocaina, nel periodo compreso tra giugno e luglio del 2018. Si conclude con l’assoluzione («perché il fatto non sussiste») da parte del giudice monocratico, Giorgia Bova, il processo a carico di un 26enne reatino, finito nei guai dopo il rinvenimento di 30 euro all’interno della propria cassetta postale, denaro che - all’esito di un controllo della messaggistica telefonica del proprio telefono cellulare - sarebbe risultato essere “l’incasso” di una cessione.

Il ritrovamento
Circostanza suffragata dal rinvenimento in casa dell’imputato di un bilancino di precisione, sminuzzatore e di materiale verosimilmente utilizzato per il confezionamento delle dosi, come plastica e cellophane. Da qui le accuse che, in aula, hanno portato poi il pubblico ministero (titolare del fascicolo il pm Edoardo Capizzi) ad una richiesta di condanna di 8 mesi.

La discussione
Nel corso della discussione, in difesa dell’imputato, il legale di fiducia Francesco Tavani aveva rilevato lo stato di tossicodipendenza patologica del proprio assistito, sottoposto ad un Piano terapeutico da parte del Sert, con relativa certificazione medica passando, successivamente, alla contestazione delle asserite ipotesi di cessione, quali circostanze tutte riconducibili a reiterati episodi di collettiva assunzione di gruppo, con acquisto demandato ad un singolo consumatore, in un quadro di non punibilità e di fattispecie penalmente irrilevante, integrante il profilo del solo illecito amministrativo, trattandosi di «uso comune».

La spiegazione
In altre parole, la tesi difensiva ha dimostrato l’insussistenza del rilievo penale della condotta di compartecipazione collettiva all’acquisto dello stupefacente, in virtù di un preesistente accordo (per uso personale) da parte di tutti i partecipanti, in esecuzione di un unico mandato di acquisto, delegato ad un singolo soggetto, con relativa contribuzione finanziaria ripartita tra tutti. Da ultimo - nelle conclusioni dell’avvocato Tavani - la teoria della “droga parlata” ad argomentare come l’ipotesi della cessione contestata al giovane imputato fosse stata formulata in assenza di risconti oggettivi e del rinvenimento della sostanza stessa, nell’ambito di un tessuto ritenuto «altamente indiziario», in quanto formulato in assenza di rinvenimento di droga, ma anche in carenza di indizi univoci, precisi e concordanti.

Tutti elementi che hanno poi portato all’assoluzione.

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