«Spesso a contatto con soggetti infetti ma non sono mai stata contagiata»,
donna reatina si sottoporrà ai test

Daniela Malfatti
di Giacomo Cavoli
4 Minuti di Lettura
Martedì 26 Gennaio 2021, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 10:18

RIETI - C’è anche una donna reatina tra coloro che hanno scelto di sottoporsi volontariamente allo studio dell’Università di Tor Vergata per tentare di spiegare la capacità di alcuni soggetti di resistere al contagio da Covid
Si tratta di Daniela Malfatti, dipendente del Comune di Rieti e presidente dello Sci club Montepiano Reatino, la cui famiglia - da parte della linea paterna - sembrerebbe essere immune al virus, nonostante gli evidenti casi d’esposizione al Covid ai quali, nei mesi, sono andati incontro lei, il figlio, il padre e la sorella di quest’ultimo. A condurre lo studio è un team di scienziati di Tor Vergata guidati da Giuseppe Novelli, genetista del policlinico Tor Vergata di Roma e presidente della Fondazione Giovanni Lorenzini di Milano, insieme a un gruppo di oltre 250 laboratori in tutto il mondo coordinati dalla Rockfeller University di New York.

Il racconto. «Quando a ottobre sono venuta a conoscenza di questo studio, ho contattato il team di scienziati spiegando loro la storia dei casi di vicinanza al virus che la mia famiglia ha avuto, e dei quali nessuno di noi sembrerebbe averne subito gli effetti - spiega Daniela. - Mi hanno risposto scrivendo che probabilmente rientriamo nella specificità delle persone immuni al virus.

A fine dicembre mi hanno confermato che il protocollo dello “Studio genetico per l’identificazione di biomarcatori clinicamente utili in pazienti risultati resistenti all’infezione Sars-Cov-2” era stato approvato dal Comitato etico della Fondazione del Policlinico di Tor Vergata e che dovrò recarmi al laboratorio di genetica del Policlinico o all’ospedale pediatrico Bambino Gesù per iniziare la sperimentazione». 

Il perché la sua famiglia sembrerebbe essere immune al Covid, è Daniela stessa a spiegarlo: «A fine marzo, quando in una casa di riposo di Greccio furono riscontrati pazienti e operatori positivi, mio padre fu posto in isolamento fiduciario perché fu l’unico a risultare negativo e quindi il primo a essere fatto uscire dalla struttura - racconta Daniela. - A maggio, mio marito è stato sottoposto al test sierologico per motivi di lavoro e da lì sono risultati gli anticorpi del virus. A quel punto abbiamo capito che a partire dalla metà di gennaio, quando stette molto male con febbre alta e forti difficoltà respiratorie, aveva probabilmente contratto il Covid. Ma in quel momento l’emergenza sanitaria non era ancora cominciata e quindi io e mio figlio pensammo soltanto a una brutta influenza. Perciò, non sospettando di nulla, mentre stava male, non è rimasto isolato in una stanza, perché non potevamo immaginare che avesse contratto il virus. E nonostante fossimo stati a stretto contatto con lui per tutta la durata della malattia, in seguito né io né mio figlio abbiamo mai manifestato alcun sintomo. Nel frattempo, fino a oggi, ho fatto quattro test sierologici, dai quali però non sono mai risultati gli anticorpi del Covid. E anche la sorella di mio padre è sempre risultata negativa, nonostante fosse ospite di un’altra casa di riposo dove sette pazienti su undici erano risultati positivi».

La decisione. Insomma, buon sangue sembrerebbe non mentire: «A questo punto, vista la sequenzialità della linea familiare, ho scelto di partecipare al test per dare un contributo alla ricerca scientifica e sono fiera di farlo - conclude Daniela. - Sono in attesa del questionario da compilare: poi sarò chiamata per essere sottoposta a una serie di test, tra cui presumibilmente quello del Dna, perché sembrerebbe che la questione dell’immunità al virus sia genetica, come dimostrerebbe anche il caso della mia famiglia».

© RIPRODUZIONE RISERVATA