Rieti, coronavirus, Andrea Zamurri
universitario e tennista di ritorno
dagli Usa visto il lockdown:
«Sembravano invincibili...»

Andrea Zamurri
di Lorenzo Quirini
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Lunedì 13 Aprile 2020, 11:56 - Ultimo aggiornamento: 11:58
RIETI - Il coronavirus ha stravolto la vita di tutti e forse l’unico aspetto positivo di questo caos, ammesso che se ne voglia trovare uno, è la possibilità di riscoprire il piacere di stare in famiglia. Questo è tanto più vero quando si torna a casa nella propria terra, dopo essere stato lontano per mesi: è quello che sta sperimentando il reatino Andrea Zamurri, 22 anni a dicembre, di ritorno dall’America dove studia e porta avanti l’attività tennistica per la NorthWest Missouri State University.

Zamurri, si ritiene soddisfatto della sua esperienza in America finora?
«Direi di sì: il primo semestre è andato benissimo e anche il secondo stava procedendo con la stessa lunghezza d’onda. Dal punto di vista scolastico i voti sono buoni, ho studiato molto e sono migliorato anche con l’inglese; inoltre stavo ottenendo ottimi risultati anche sul versante tennis. Il match più soddisfacente è stato quello giocato contro il numero 20 di tutta la Seconda Divisione americana: partivo sfavoritissimo rispetto ad un avversario molto forte, ma ho vinto al terzo set. A questo successo si aggiunge anche la vittoria dei campionati in doppio della nostra regione».

Un trend impressionante, ma poi è arrivato il virus…
«Dopo il nostro ultimo match, intorno alla metà di marzo, ci è arrivata la notizia che tutto il nostro torneo era stato cancellato a causa del virus. Nessuno avrebbe immaginato una cosa del genere ed è stato molto traumatico, soprattutto per i tennisti a fine percorso, che hanno realizzato solo dopo che quella sarebbe stata la loro ultima partita al college. Leggevamo le notizie che arrivavano dalla Cina e dall’Italia, ma tutti in America pensano di essere invincibili (sorride amaro) e quindi l’emergenza ci ha preso un po’ in contropiede».

Immagino che abbia instaurato dei legami fraterni con i suoi compagni in America. Come si sono comportati, sapendo delle cattive notizie che arrivavano dall’Italia?
«Ho compagni di squadra provenienti da 8 paesi diversi, il nostro college è stato per me come un meltin’pot che mi ha arricchito molto. In particolare un mio compagno di squadra mi ha aiutato veramente tanto, ospitandomi a casa sua quando non era possibile usare i dormitori a causa dell’epidemia, ed anche nel giorno del ringraziamento. Lui e i suoi genitori sono stati come una famiglia per me, ma questo conta anche per gli altri compagni della mia squadra: quando sei parte di un gruppo in cui tutti sono lontani da casa ed hanno le stesse problematiche è come entrare in una grande famiglia».

Come è maturata la decisone di tornare in Italia?
«Si è trattato piuttosto di una scelta obbligata, non c’era più un motivo valido per restare. Il virus ha costretto l’istituto ad optare per le lezioni online, gli allenamenti e match sono stati sospesi: tanto valeva tornare a casa. La grande difficoltà è stata trovare i voli durante il lockdown: l’unico aereo per l’Italia partiva da New York ed era scomodo da raggiungere. Tra l’altro l’università non è stata tempestiva nel comunicare la scelta di svolgere le lezioni online, quindi per una settimana dopo l’inizio della quarantena, siamo stati indecisi se ripartire o meno perché forse non avremmo potuto approfittare delle lezioni su internet».

Un ritorno brusco ed improvviso che sicuramente destabilizzante per lei, ma cerca di mantenere la stessa routine…
«Le lezioni e gli esami online mi tengono impegnato nel pomeriggio, dal punto di vista scolastico non è quindi cambiato molto, anche per quanto riguarda i voti. L’effetto è stato sicuramente strano, mai avrei creduto di dover tornare in Italia a marzo, a causa di un virus; un’altra cosa strana è dover continuare a comunicare con i miei amici di Rieti tramite chat o videochiamate, nonostante ora siano a pochi chilometri di distanza da me (ride). Trovo anche il tempo di mantenermi allenato per quanto possibile: non gioco a tennis da un mese ormai, ma vado a correre tutti i giorni intorno a casa, e faccio anche allenamento a corpo libero con i miei amici tramite videochiamata, altrimenti arriverei a prendere troppo peso (ride)».

Quando pensa di tornare negli Usa?
«Salvo stravolgimenti, l’università ricomincia il 19 agosto ed io spero di poter stare lì per quella data. Però la situazione è abbastanza imprevedibile e mi aspetto di tutto: in alcune università del Colorado si vocifera addirittura di continuare con la didattica a distanza fino a gennaio. Ad ogni modo io spero di tornare ad agosto, ammesso che sia possibile».

Una quarantena che la tiene lontano dall'amata terra rossa…
«Per i tennisti vedere queste giornate così belle e non potersi allenare è frustrante, anche perché maggio e giugno sono i mesi in cui ci sono più gare e la stagione entra nel vivo. Del resto dobbiamo restare a casa e tenere duro tutti, non solo i tennisti; mi auguro però che il tennis ricominci prima di altri sport, poiché prevede contatto fisico praticamente nullo rispetto al calcio o al basket per esempio».
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