Rieti, coronavirus: resta infetta il giorno
prima della pensione e contagia il marito
che non ce la fa e muore

Passo Corese
di Raffaella Di Claudio
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Domenica 10 Maggio 2020, 07:29 - Ultimo aggiornamento: 17:16
RIETI - Coronavirus. Era il suo ultimo giorno di lavoro, poi ci sarebbero state le ferie e dal primo aprile la pensione. Ma quel giovedì 5 marzo per S. V., 67 anni, dipendente amministrativa della Asl di Rieti per 17 anni, ha segnato l’inizio di un incubo: si è ammalata di Covid-19 e ha perso il marito, 70enne sottufficiale dell’aereonautica in pensione, al quale lo ha trasmesso e che gli è stato letale.
L’uomo è deceduto il 3 aprile, ma la donna, che fino al 14 è stata ricoverata al Gemelli di Roma, lo ha scoperto solo nel momento delle sue dimissioni. Un trauma che oggi teme di non riuscire a superare. Ha aderito a un percorso di sostegno psicologico avviato per i malati di Covid-19, ma intanto ha deciso di raccontare a Il Messaggero il suo dramma, affinché nessuno si trovi più a vivere ciò che sta vivendo lei. Per testimoniare i danni che può generare il Coronavirus e lanciare il monito: «che non si agisca più con leggerezza».
Il 5 marzo, nel poliambulatorio di Passo Corese è entrata in contatto con uno degli operatori sanitari della comitiva di rientro dalla settimana bianca al nord Italia, il cluster più esteso di Fara Sabina, e ha contratto il Covid-19. Sono parole piene di dolore quelle della dipendente Asl. «Per la superficialità di chi ha sottovalutato i rischi di questo virus esponendo gli altri al contagio – dice in lacrime - ho perso mio marito. Ma non resterò zitta. Adirò le vie legali denunciando per inadempienza l’Asl di Rieti, dove anche dal punto di vista umano molti dirigenti hanno peccato e non mi hanno nemmeno fatto una telefonata per sapere come stavo. I vertici del distretto 2 Salario Mirtense sapendo che c’erano degli operatori sanitari di ritorno dal nord dovevano spingerli a mettersi in quarantena, invece tutti hanno sottovalutato la situazione. Forse, stavamo all’inizio dell’epidemia, ma dovevano essere più coscienziosi e invece tutti se ne sono fregati».

La trasmissione
«Io sono andata al poliambulatorio di Passo Corese il giovedì e dal lunedì successivo io e mio marito abbiamo iniziato a star male - racconta - Ho iniziato ad avere un po’ di tosse, stanchezza, mal di testa. Dopo la tosse è aumentata: non riuscivo a stare in piedi. Le cose sono peggiorate, sono andati via sapore e odore. Il 13 marzo mi hanno ricoverato al Gemelli. Per 20 giorni vomitavo e basta, la malattia mi ha intaccato i reni, ho rischiato di andare in dialisi, e la parete del cuore. Mio marito, dopo una settimana che era rimasto a casa è stato ricoverato al Sant’Andrea. Era in attesa di ricevere l’esito del tampone fatto dalla Asl Roma 5, perché noi viviamo a Palombara Sabina. I nostri figli vivono in Veneto e in Toscana. Mia figlia sentendo che le condizioni di mio marito peggioravano, senza tosse ma con febbre altissima, ha chiesto l’intervento del 118 ed è stato trasferito all’ospedale Sant’Andrea. Io sono stata in fin di vita e mio marito 15 giorni dopo il ricovero è morto. In tutto questo io non ho avuto una parola di pietas da parte dei miei dirigenti. La mia situazione - continua la donna - è stata la più grave, ma altre persone in servizio presso il poliambulatorio di Passo Corese sono state infettate e messe in pericolo. Quello che ho subito io è stato terribile. Sono stata devastata fisicamente e psicologicamente. Ma andrò fino in fondo. Lo devo a mio marito che non c’è più e alla sofferenza che mi porterò per il resto della vita, proprio ora che potevamo goderci insieme la pensione. Potevamo stare tranquilli - conclude - e invece di colpo non ho più niente. Mi ritrovo sola e segnata per tutti i giorni che verranno».
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