Coronavirus, anche Rieti piange
la morte di Luis Sepúlveda:
nel 2016 le emozioni al Flavio

Luis Sepulveda a Rieti nel 2016
di Sabrina Vecchi
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Giovedì 16 Aprile 2020, 14:28 - Ultimo aggiornamento: 14:30
RIETI - Era il settembre 2016, la provincia di Rieti tremava ancora per il terremoto. Accumoli e Amatrice erano state spazzate via, e la tremenda scossa del 30 ottobre doveva ancora arrivare. Fu un'edizione del Premio Letterario Città di Rieti diversa dalle altre, pervasa dalla voglia di farcela, e di gettarsi presto alle spalle le immagini del dolore per creare un nuovo bagaglio di ricordi positivi. Sul palco del Flavio Vespasiano arrivo "l'ospite". Lo scrittore cileno Luis Sepúlveda, pantaloni cargo verdi, polo con giacca sportiva e barba incolta premiò i vincitori di quell'anno, Marco Pistacchio e Laura Toffanello. Lui, che di libertà e di diritti civili ne sapeva qualcosa, volle alzare anche da Rieti la sua voce «per una società uguale, solidale, tollerante, fatta di amore e comprensione verso le diversità e protesa verso l’aiuto reciproco».

Sepúlveda è morto oggi, 16 aprile, in un ospedale di Oviedo, in Spagna, all'età di settant'anni. Aveva resistito al carcere, alle torture, alla condanna all'ergastolo, all'esilio: non è risucito a fare lo stesso con il coronavirus. Dopo la premiazione sul palco di un teatro Flavio gremito, lo scrittore non si sottrasse al firmacopie, nella stanzetta a ridosso del foyer. Mi ero avvicinata timorosamente, di fronte alla grandezza di un tale personaggio, con il mio libro in mano in attesa di essere siglato dalla stessa penna che aveva saputo concepire capolavori immortali. Pareva cupo, metteva soggezione. Ma fu solo un attimo. I suoi occhi neri fissarono i miei, e nella sua curiosa miscellanea di italiano e spagnolo ribadì il concetto che aveva espresso tutta la vita: «La cultura sia al servizio della felicità umana. O almeno, aiuti ad alleviare le sofferenze».

Sapeva quello che era accaduto per il recente terremoto, chiedeva notizie sulle persone. Decidemmo insieme che quel libro sarebbe andato simbolicamente in dono agli abitanti di Amatrice, che fosse il primo di una nuova biblioteca. «La letteratura è sempre come una sorta di finestra che si apre al mondo. E tutti devono dare il proprio contributo perché questo mondo sia migliore - disse lo scrittore - ma l’impegno più grande della vita di ciascuno deve essere quello renderlo più umano».

Sepúlveda ebbe parole di grande affetto per le persone colpite dalla tragedia del terremoto, e il suo simbolico gesto fu il primo di una lunga serie, proseguita sull'onda della generosità di autori che vollero donare i propri libri autografati per contribuire alla nascita di un nuovo spazio culturale nelle zone colpite. «Para mis amigos de la biblioteca de Amatrice, con mi solidarietà y amor», scrisse nella dedica. Parole che oggi uniscono chiunque si trovi nel dolore, a combattere con difficoltà vecchie e nuove, ad affrontare il distacco della morte e i disagi di una tragedia mai dimenticata. Uniti tutti, oltre i confini, oltre gli individualismi, in un filo comune che va dal Cile ad Amatrice e poi torna di nuovo indietro, attraverso il pensiero vergato su un libro che oggi avrà certamente un altro valore.
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