Rieti, coronavirus. La prima infermiera
guarita: «Febbre alta e dolori
ma ora sto bene e tornerò al lavoro»

Infermieri (Archivio)
di Raffaella Di Claudio
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Giovedì 23 Aprile 2020, 01:46 - Ultimo aggiornamento: 14:26
RIETI - Coronavirus, «La prima cosa che farò, non appena il sindaco mi comunicherà ufficialmente lo scioglimento della quarantena, andrò a trovare la mia mamma, invalida con l’accompagno, che per tutto questo tempo non ho potuto accudire. È dal 5 marzo che non la vedo. Non poter stare con lei e con mio padre è stato il dolore più grande». Graziella Braconi, 51 anni, infermiera del poliambulatorio Asl di Passo Corese, residente nel comune di Poggio Moiano, è guarita. Il suo contagio è da riferire al cluster della comitiva dei medici di ritorno dalla settimana bianca nel nord Italia a fine febbraio, due dei quali lavorano proprio nella Asl coresina. Dalla fine di marzo ha ripreso le forze. Il 13 e 19 aprile è stata sottoposta agli ultimi due tamponi e nel pomeriggio di martedì la Asl le ha comunicato la guarigione. Ora è pronta a tornare alla normalità. «Faccio questo lavoro con grande passione - spiega Graziella - non vedo l’ora di riprendere l’attività e, considerato che il mio laboratorio è aperto solo per le emergenze, mi metto a disposizione per operare temporaneamente nei reparti e negli ambulatori che hanno più necessità durante questa emergenza».

I passaggi
Il suo contagio dovrebbe essere avvenuto dal contatto con un operatore sanitario positivo nei tre giorni precedenti all’insorgere della febbre. «Io ho lavorato il 3, 4 e 5 marzo, e il 6 mattina - racconta l’infermiera - mi sono svegliata che stavo malissimo, con 39 e mezzo di febbre. È stata un’influenza diversa dalle altre. Sono stata malissimo fino a delirare. Ho perso olfatto e gusto, ho avuto disturbi intestinali e mal di testa fortissimo. Non ho mai avuto problemi respiratori e per poco sono riuscita a scongiurare il ricovero». Fortunatamente il marito e i tre figli di 22, 16 e 14 anni non si sono infettati.
«Una delle paure più grandi era contagiare i miei familiari - ammette - perché è un virus che non si conosce, così come sono oscuri i suoi comportamenti. Grazie alle accortezze che adottiamo sempre quando qualcuno di noi si ammala, però, non è successo. Quando mi sono rimessa in forze, ho cucinato con guanti e mascherina e mantenuto le distanze anche a tavola».
Di questa esperienza le resteranno ricordi belli e brutti. «Una delle cose che mi ha fatto soffrire di più - confessa - è stato il fatto di essere considerata, visto che ero l’unica positiva in paese, come un’appestata da molti concittidani, specie dai residenti del mio condominio, che sono arrivati a chiedere la sanificazione della tromba delle scale. O anche aver ricevuto decine di telefonate degli amici dei miei figli preoccupati di quello che potesse accadere. Questi atteggiamenti mi hanno fatto male. Ma ho anche ricordi belli. Come la gratitudine nei confronti del mio medico curante e sindaco Sandro Grossi, che mi ha sorvegliato costantemente, chiamandomi tre volte al giorno. Ricorderò con grande piacere l’affetto e la vicinanza dei veri amici, sempre presenti. Come anche la riscoperta della famiglia e di quella quotidianità che, lavorando tutto il giorno, viene a mancare».