Coronavirus, i fratelli Menale
giovani medici a Firenze
ma con il cuore a Rieti:
«Insieme tristezza e speranza»

Antonio e Silvia Menale
di Fabiana Battisti
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Sabato 25 Aprile 2020, 09:21 - Ultimo aggiornamento: 09:36

RIETI - La famiglia Menale ha vissuto a Rieti fino al 2014. Calda, ottimista, distinta, unita e numerosa con i suoi tre figli ma soprattutto accogliente ha affrontato il necessario trasferimento a Firenze con grande sconforto ma senza perdersi d’animo, nell’ottica che fosse una nuova possibilità.  Oggi sono i fratelli Silvia e Antonio a raccontare un po’ il loro vissuto nel corso della quarantena per il coronavirus e a ricordare con nostalgia Rieti.

Quali sono stati gli effetti dell’emergenza per voi futuri medici?
«Siamo stati stravolti dalla pandemia, la cosa che preoccupava noi neolaureati in Medicina con tutte le notizie che si rincorrevano forsennatamente da Wuhan era la gravità della situzione, senza possibilità di realizzarla. - dice Silvia - Stavamo preparando il test di abilitazione ma via via che le condizioni diventavano più chiare e più drammatiche, tutto è cambiato. L’abilitazione sarebbe diventata d’ufficio dopo il tirocinio formativo che già avevamo svolto, in modo da inserire nuove reclute giovani e pronte ad agire. Lo Stato si è reso conto della necessità impellente di forza lavoro troppo tardi, contiunando a non investire sui giovani medici, che costituiscono una risorsa inutilizzata perche enormemente sproporzionati rispetto al numero di posti disponibile per le varie specializzazioni.
Chissà se questa emergenza farà aprire una seria riflessione su un maggiore investimento delle risorse finanziarie nel Sistema Sanitario. È incredibilmente triste - prosegue - pensare che solo una situazione cosi drammatica, sia riuscita a portare all’attenzione dell’opinione pubblica una tanto delicata realtà. Specialmente in questo periodo noi neo laureati ci saremmo dovuti preparare per il test di specializzazione, stiamo continuando a studiare e a formarci anche sul campo, ma in un’attesa incerta».

E continua Antonio: «È stato assolutamente negativo per la didattica, la soglia dell’attenzione è molto più bassa perché il prof non è live ma le lezioni sono solo audio e slides e in orari accavallati. C’è stata una gestione poco strutturata che ha provato un po’ noi studenti. Sicuramente anche gli esami ne risentiranno ma non conosciamo le nuove dinamiche. È un po’ tutto nuovo, non sappiamo bene né cosa aspettarci né come affrontare le materie. 
Inoltre c’è il problema delle biblioteche chiuse, un peso ingente perché gli spazi sono limitati in casa, bisogna accordarsi da tot ora a tot ora per chi studia e chi fa smart working. E fortunatamente io non sono studente fuori sede ma i miei amici soffrono molto, l’unico pro è che Firenze dall’essere sommersa di turisti oggi permette di respirare di più, però è comunque una condizione triste».

Sì la città, qual è il suo volto oggi?
«La cosa più sconvolgente è stata proprio vedere Firenze vuota. Vivendo in prossimità del centro quello che è incredibile è notare la differenza tra una città che è sempre assolutamente gremita di vita, pullulante di tantissime persone di etnie diverse. - racconta assorta Silvia- Addirittura prima, dai palazzi, nonostante le corti interne, era tipico sentire dalla strada il vociare dei turisti. Questo tappeto sonoro inconfondibile ed accogliente non è più percepibile, quindi è come se si fosse in una nuova dimensione cittadina. In una città piccola come Rieti questo cambiamento si può avvertire molto meno. Ora c’è il vuoto e sembra proprio che il mondo si sia fermato con questo lockdown.  Ad esempio andando a fare la spesa giorni fa sono passata per lo storico mercato di San Lorenzo, sempre gremito di turisti, oggi nudo e spoglio. Mi mancano le risate e il mescolarsi di tante lingue diverse per le vie della città. In tutto questo c’è una cosa davvero bella che sta emergendo, la solidarietà. Quella alla base di un’istituzione antichissima, nata nel 1200, “la Misericordia di Firenze”, che sositiene ed aiuta i malati ed i bisognosi, su base volontaria. Una cosa che mi ha insegnato Firenze è proprio questa: quanto valore possa avere anche il più piccolo gesto di aiuto se compiuto dalla collettività. Ognuno qui aggiunge un mattoncino per il bene comune, è un impegno che si eredita di generazione in generazione ma la strada costruita fino ad ora da la certezza di poter continuare a camminare in un futuro davvero condiviso”. 

E Rieti? Cosa rappresenta per te?
«A Rieti ho lasciato tanti ricordi e tantissimi affetti, perché anche se tutta la mia famiglia si è trasferita qui, Rieti mi ha regalato amicizie sincere, nonostante la lontananza. È una realtà a misura d’uomo, è bello uscire per strada e sentirsi sicuri, a casa. È stato un enorme dispiacere non poter tornare a Pasqua nel verde, tra le montagne e gli alberi così presenti, non poter percepire quell’aria fresca che avverto al primo respiro appena arrivo. - ricorda commossa Silvia- Mi manca la tappa fissa di girare per il centro di Rieti, un gioiello, e arrivare davanti al mio liceo per attingere a quella tranquillità e quei bagagli di meravigliose esperienze che mi hanno formato».
E prosegue Antonio: «Io sono nato e cresciuto a Rieti e andare via dopo le medie è stato un distacco importante da affrontare, ho tutti i miei legami d’infanzia lì.

Adesso oltre ai collegamenti limitati la quarantena nazionale ha amplificato le distanze ma la speranza è quella di tornare a quella che sentiamo veramente come casa nostra il prima possibile».

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