Tre mesi con il coronavirus in terapia intensiva: «Salva grazie alla fede e alle cure ricevute al de Lellis»

Tre mesi con il coronavirus in terapia intensiva: «Salva grazie alla fede e alle cure ricevute al de Lellis»
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Domenica 21 Giugno 2020, 01:56 - Ultimo aggiornamento: 15 Febbraio, 06:25
RIETI - Voleva tornare a casa prima del compleanno del figlio Francesco e dopo due mesi e mezzo trascorsi all’ospedale de Lellis, Stefania Perazzoni ci è riuscita. Cinquant’anni, fisioterapista della Asl di Rieti dal 2001, ha sconfitto il Covid-19 ed è tornata dalla sua famiglia. Ora sta decisamente meglio e ha vinto la sua battaglia. E’ stata la seconda persona positiva di Fara Sabina e insieme alle due donne farensi che non ce l’hanno fatta è stata quella che ha pagato lo scotto più alto nella pandemia che ha investito il secondo comune della provincia. Stefania non è più quella del 13 marzo, giorno in cui dopo una settimana di febbre alta che non passava con nulla è stata trasportata in ospedale. 

Le tappe. Oggi con Il Messaggero ripercorre a ritroso i mesi di «un’esperienza devastante» dalla quale crede di essere uscita grazie alla fede. Profondamente devota alla Madonna di Lourdes, Stefania oggi più che mai è convinta che nella sua guarigione «ci sia stato l’intervento della madre celeste che mi ha messo nelle mani di medici e infermieri straordinari. Se non fossi andata all’ospedale di Rieti non so se mi sarei salvata». Stefania Perazzoni a fine febbraio era stata in settimana bianca insieme alla comitiva dei medici di Passo Corese, alcuni dei quali contagiati come lei, ma con un decorso della malattia ben più clemente. 

«Dopo questa tragica esperienza – dice Stefania – ho imparato a non considerare le cose futili, perché ho capito che quelle importanti della vita sono altre. Sono dovuta nascere una seconda volta, imparare di nuovo a camminare e a essere autosufficiente. Oggi mi sento fortunatissima e credo di aver imparato cose nuove anche dal punto di vista professionale». E’ arrivata a Rieti dopo aver inutilmente fatto richiesta di tampone. «Con la febbre altissima ho più volte chiamato il numero verde – spiega - temendo che si trattasse di Coronavirus, ma dall’altro capo del telefono una voce fredda mi ripeteva che i sintomi non rimandavano al Covid-19 e non c’era bisogno di fare il tampone».

Terapia intensiva. Da lì è iniziata la trafila: pronto soccorso, una notte nel reparto di malattie infettive, terapia intensiva per 21 giorni, poi un mese al reparto Covid 2 e malattie infettive fino al 4 giugno. «Non mi dimenticherò mai il giorno che ho lasciato terapia intensiva - dice con emozione - I medici gioivano e mi applaudivano per essere sana e salva. Ricorderò per sempre suor Rosita del Santa Lucia e dei lunghi giorni trascorsi insieme al reparto Covid aspettando l’arrivo dei medici per passare una chiacchiera in più».

I ringraziamenti. Lontana dal figlio e dal marito, contagiati anche loro, è stata circondata dall’affetto delle persone che hanno sostenuto i familiari e pregato per la sua guarigione. Il personale ospedaliero è stato invece il suo faro. 
«Medici e infermieri sono i miei angeli – continua Stefania – Alla fine avevo imparato a riconoscerli dagli occhi, visto che erano completamente coperti dai dispositivi. Non finirò mai di ringraziarli. Grazie alla dottoressa Alessandra Ferretti anche per il supporto mai mancato ai miei familiari che hanno sofferto tantissimo, al dottor Francesco Musto, ai dottori Stefano Trinchi e Maria Cristina Mustazza, al dottor Mauro Marchili e alla caposala Alessandra Martellucci. Un grazie speciale per la vicinanza al dottor Claudio Meli, e alla mia collega fisioterapista Sara Sabetta: se sono di nuovo in piedi lo devo a lei»
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