Rieti, coronavirus, Chiara Tarlantini
manager a Valencia: «Che incubo
quando il mio ragazzo è stato
male, grazie dottor Patacchiola»

Chiara Tarlantini a Valencia
di Giulia Moroni
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Sabato 2 Maggio 2020, 11:44 - Ultimo aggiornamento: 11:54

RIETI - Da Rieti, Chiara Tarlantini, 29 anni, laureata in Scienze e Tecnologie della Foresta e della Natura all’Università della Tuscia di Viterbo e specializzata in Restauro Forestale ha deciso di trasferirsi, lo scorso anno a Porto di Sagunto a dieci km da Valencia per provare un’esperienza nuova ed avvicinarsi al suo ragazzo spagnolo Ángel. Da oggi avrà il permesso di uscire qualche ora durante il giorno ma sono stati due mesi difficili per la giovane reatina.

Come è iniziata la sua esperienza in Spagna?
«Sono venuta per un colloquio a giugno scorso, il posto che avrei dovuto occupare in teoria era coperto fino ad agosto, il 10 giugno feci il colloquio. Invece per una serie di questioni sono stata assunta subito e inizialmente, non sapevo di dovermi fermare mi sono trovata qui senza neanche i vestiti in valigia. Lavoro in una grande multinazionale la Norkem, che si occupa di import-export di prodotti chimici, gestisco il commercio con l’Italia, controllo gli acquisti con la Cina e l’America Latina per rivenderli nel settore dell’ alimentazione animale soprattutto nel nord Italia, farmaceutico nel centro Italia e a Perugia quello agrochimico; chiaramente mi hanno preso per la mia madrelingua. A settembre ho firmato il contratto a tempo indeterminato, è una cosa un po’ strana perché gli italiani, solitamente qui fanno i camerieri, io sono stata molto fortunata anche perché l’azienda offre delle condizioni che qui all’esterno altri non hanno; adesso con il coronavirus ci ha tutelato in pieno e ci ha messo tutto a disposizione tutto l’occorrente per farci lavorare in smart working. Inoltre, i nostri produttori ci stanno aiutando molto mandando settimanalmente le mascherine, si stanno dimostrando di una collaborazione unica e ci sono molto vicini».

Il Paese ha gestito bene l’emergenza secondo lei?
«Qui l’allarme è scattato il 13 marzo, prima c’era un po’ il focolaio in tutta Europa ma ognuno continuava a seguire la sua vita, non c’erano misure correttive. C’è stata una chiusura totale e allarmismo, i morti continuavano a salire, la Spagna ha tardato molto e vedendo l’Italia avrebbe potuto prendere tutte le precauzioni, potevano fare qualcosa di più e questo ha portato a numerosi decessi. I primi giorni è stato un po’ come il terremoto da noi soprattutto il colpo d’occhio: vedere una grande città come Valencia, dove controllare la folla è difficile, con strade completamente deserte e un silenzio assordante con i rumori solo le sirene, è stato surreale. Quando fuori dal balcone gli altri applaudivano, a me veniva da piangere».

Cercavate un supporto dalla sanità spagnola che non è arrivato. Ci racconta la vostra esperienza?
«C’è stato un collasso sanitario quasi immediato, l’assistenza sanitaria è stata inesistente; il mio fidanzato è stato male e nessuno gli ha certificato il coronavirus perché se non eri stato con qualcuno che aveva contratto il Covid non ti prendevano in considerazione. Lui aveva tutta la sintomatologia: febbre alta, tosse e difficoltà respiratorie per un mese, è stato malissimo e noi non siamo riusciti ad avere nessun tipo di assistenza dalla sanità spagnola. Alla fine è stato curato dal mio medico di famiglia il dottor Osvaldo Patacchiola da Rieti che non conosceva il mio ragazzo, e per aiutarmi gli descrivevo tutti i sintomi e per telefono. Qui i tamponi se non hai la certezza di essere stato a contattato con qualche positivo non li fanno a nessuno. I numeri che sono passati in Spagna non so quanto siano stati realistici, perché ci sono state tante persone male con gli stessi sintomi a cui nessuno ha fatto il tampone. Inizialmente non mi ero allarmata, speravamo di ricevere assistenza, invece è passato il tempo e lui non riusciva a riprendersi e il dottor Patacchiola, a cui vanno i ringraziamenti anche di Ángel, è stato un vero e proprio medico di famiglia oltre alla sua professionalità è come fosse stato una persona di casa nonostante la distanza siamo riusciti a venirne fuori grazie a lui».

Quando potrete ricominciare ad uscire di casa?
«Il 26 aprile sono iniziati ad uscire i bambini, con guanti e mascherine due ore al giorno, da oggi si inizia ad uscire a fasce di età: dalle 6 alle 10 e dalle 20 alle 23 escono le persone dai 14 ai 69 anni, dalle 10 alle 12 e dalle 18 alle 20 le persone sopra ai 70 anni e i bambini sempre il pomeriggio».

Come sono cambiate le sue abitudini in questi due mesi?
«Per non modificare la mia routine ho deciso di darmi delle regole per organizzarmi la giornata; mi vesto come se andassi in ufficio seguo tutti gli orari lavorativi anche se da casa potrei anche prendermela più comoda.

Quando smetto di lavorare faccio un po’ di esercizio fisico, per non pensare, se ho la giornata piena non ho tempo, per questo faccio sempre qualcosa per tenermi occupata. Cerco di onorare casa cucinando piatti italiani anche grazie ai consigli di mia madre che attraverso le videochiamate riesce ad affiancarmi. Mi è mancata molto l’aria di casa, con la famiglia è come una storia d’amore a distanza, il mio cuore è come se fosse diviso in due da una parte la preoccupazione qui, in uno scenario che non avresti mai immaginato e dall’altra la famiglia lontana da me. Se io avessi vissuto queste cose a casa mia, nel mio ambiente sarei stata meglio, qui per quanto possa stare in famiglia, io non sto a casa e non manca mai tanto come in questi momenti».

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