RIETI - Sì all’inquadramento contrattuale al livello superiore, con relativo pagamento delle differenze retributive, no al mobbing e al risarcimento danni reclamato nei confronti del datore di lavoro. È la sentenza pronunciata dal giudice Rosario Carrano e riguarda, ancora una volta, il pianeta Ater Rieti, dove da anni si susseguono cause promosse da molti dipendenti per dequalificazioni professionali e comportamenti mobbizzanti, che hanno ripetutamente visto condannata l’azienda in tribunale.
La vicenda
L’ultima vertenza ha riguardato una lavoratrice che da gennaio 2013 a luglio 2014, era stata incaricata di svolgere mansioni superiori rispetto alla qualifica ricoperta, un’anomalia mai sanata, né a livello contrattuale né salariale. Funzioni di coordinatore delle sezioni, riguardanti l’inquilinato, l’avvocatura e il recupero delle morosità, svolte per diciotto mesi, come dettagliato nell’atto di citazione depositato dall’avvocata difensore Edy Cavalli, in contemporanea con l’ufficio del quale la dipendente era già responsabile. Rivendicazione riscontrata dalle testimonianze e dal rappresentante dell’Ater, che hanno confermato l’apposita creazione degli incarichi di coordinamento in quanto i dirigenti erano in aspettativa e occorreva sopperire alla loro assenza. In buona sostanza, la dipendente rivestì un incarico dirigenziale, autorizzata dalla direzione generale anche a emettere assegni dal conto dell’istituto. Tutte mansioni riconosciute fondate dal giudice Carrano che ha ordinato all’Ater di inquadrare la dipendente nella qualifica contrattuale superiore, a partire dal 2013, e di pagargli circa 30mila euro di differenze retributive maturate. Diverso il discorso sul fronte mobbing, che la dipendente invocava sostenendo di essere stata vittima di comportamenti persecutori. A partire dal demansionamento subito dopo aver svolto l’incarico di coordinatore delle sezioni e dall’aver dovuto affrontare due procedimenti disciplinari - poi annullati - nonché di essere stata costretta a lavorare in una piccola stanza, sporca e pericolosa per la presenza di un quadro elettrico. In aggiunta, la dipendente aveva richiamato alcuni episodi di cui si sarebbero resi responsabili alcuni colleghi (spegnimento improvviso della luce interna, rimozione delle tende alle finestre, poi gettate a terra, e altri fatti), tutte circostanze, però, che ad avviso del giudice del lavoro - che ha accolto l’opposizione presentata dall’avvocata dell’Ater, Mariella Cari, alla richiesta di risarcimento danni - non hanno sufficientemente dimostrato il comportamento mobbizzante dell’azienda, finendo per considerare la ricorrente corresponsabile delle situazioni conflittuali nate all’interno dell’ambiente di lavo
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