Amatrice: «La palazzina dell’ex Ina Casa era una struttura molto vulnerabile»

Piazza Sagnotti dopo il terremoto del 2016
di Emanuele Faraone
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Giovedì 15 Aprile 2021, 00:10

RIETI - Da parte del consulente tecnico della Procura un’integrazione peritale (oggetto di una serie di eccezioni sollevate dalle difese degli imputati e poi rigettate dal giudice Sabatini) per passare ai “raggi x” l’edificio ex Ina-Casa di piazza Sagnotti I attraverso un modello di calcolo applicato per analizzare il comportamento della struttura rispetto al sisma del 24 agosto del 2016 che ne determinò il collasso e la morte di 7 inquilini. Pochi i dubbi: «Quell’edificio era molto vulnerabile». Ad aprire l’udienza dibattimentale è lo psichiatra teramano, Domenico De Berardis, che ha analizzato i differenti gradienti di stress psichici patiti dai sopravvissuti ai crolli e dai familiari delle vittime (parti civili in giudizio rappresentati dall’avvocatessa Wania Della Vigna) nonché le pesanti ripercussioni psicologiche post-sisma accusate sotto forma di sindrome di disturbo post-traumatico da stress, patologia che incorre in soggetti che hanno subìto o hanno assistito a un evento traumatico, catastrofico o violento, oppure che sono venuti a conoscenza di un’esperienza traumatica accaduta a una persona cara. 
L’udienza è proseguita poi con l’esame del consulente tecnico, l’ingegner Antonello Salvatori che ha illustrato lo status del fabbricato “ante operam” e cioè prima dello spanciamento angolare con relative fessurazioni dell’immobile di piazza Sagnotti I causato dal terremoto di L’Aquila nell’aprile del 2009. Un edificio realizzato negli anni ‘50 in muratura e pietrame, parzialmente seminterrato, di forma irregolare, con un dislivello tra i solai dell’ala ovest rispetto a quella est di circa 1, 10 metri, divisi dal vano scale, con pianerottoli su piani sfalsati. Proprio questa irregolarità nella distribuzione delle misure, l’assenza di simmetria e lo sfalsamento dei piani avrebbe - secondo la relazione dell’ingegnere - originato una risposta sismico-dinamica «non ordinaria» con forze di inerzia, parametri di amplificazione e forze taglianti secondo determinate direttrici dovute ai piani non corrispondenti che avrebbero così modificato il comportamento sismico della struttura. Al vaglio la risposta del fabbricato e la valutazione delle tensioni che entrarono in gioco alle 3.36 del 24 agosto 2016 per addentrarsi nel vivo di quel tragico collasso attraverso una circostanziata analisi elaborata da un modello elastoplastico che ha preso in esame numerosi aspetti: solai di calpestio, rilievi architettonici, planimetrie “ante operam”, forze taglianti, inerzia e amplificazione. Un’udienza che, nel corso della relazione dell’ingegnere Salvatori, ha permesso al consulente di giungere alla conclusione che quell’edificio avesse un indice di rischio minore del 10% catalogandolo così come una «struttura molto vulnerabile». L’intervento tecnico sullo “spanciamento” angolare dell’edificio dopo il terremoto del 2009 fu del tipo “cuci e scuci”: ripristino della continuità muraria con la rimozione degli elementi lesionati e la realizzazione di una nuova tessitura. Ma non fu né di miglioramento né adeguamento sismico nell’ottica condominiale di contenere le spese dei lavori. In cinque a giudizio (omicidio e disastro colposi plurimi e lesioni): l’ex sindaco Sergio Pirozzi, Ivo Carloni (progettista e direttore dei lavori) e tre tecnici del Genio civile, Maurizio Scacchi, Valerio Lucarelli e Giovanni Conti.

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