Rieti, dalla Sabina in Antartide
dove il coronavirus non c'è:
la storia di Alberto Salvati. Foto

Alberto Salvati in Antartide
di Samuele Annibaldi
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Mercoledì 15 Aprile 2020, 16:09

RIETI - C’è un solo continente ancora libero dal coronavirus, è l’Antartide, l’unico posto al mondo dove il contagio non è arrivato e dove ci sono diverse basi per ricerche scientifiche. A fine marzo sono ripartiti tutti perché sta arrivando il durissimo inverno antartico con almeno sei mesi di buio totale e di temperature che variano dai -80 ai -100 gradi Celsius. E’ restata solo una spedizione nella base italo-francese di Concordia in mezzo al plateau antartico, 3.220 metri di quota (circa 4.000 reali per l'effetto schiacciamento dei poli) nell'unico continente rimasto esente dal virus, a circa 16 mila km dall'Italia e dove ci si può ancora abbracciare perché non ci sono le regole del distanziamento sociale dal momento che i componenti la spedizione sono lì da prima che scattasse l’allarme coronavirus.
 

 

 Dodici ricercatori tra i ghiacci dell’Antartide guidati dal reatino Alberto Salvati
Dodici ricercatori tra francesi, olandesi e 4 italiani tra i quali un sabino, il fisico dell'atmosfera Alberto Salvati di Cottanello, responsabile della base. Sono lì dal novembre scorso e ripartiranno al prossimo novembre   dopo un anno di permanenza. Il giorno di Pasqua, i 4 italiani hanno mandato gli auguri a familiari, parenti e amici tramite facebook, mentre nei giorni precedenti Alberto Salvati ha voluto raccontare sempre via social come si siano invertite le parti ai tempi del Coronavirus nel mondo. «Quando siamo partiti - ha detto Salvati - le nostre famiglie erano preoccupate per noi, ma ora accade il contrario: ci dicono, per fortuna lì siete al sicuro, e siamo noi a essere in pensiero per loro».
 
La storia e le ricerche
Alberto Salvati è una specie di ambasciatore Sabino in Antartide visto che per lui è la quarta missione in quelle terre, ma è la prima dove passerà in condizioni proibitive, estreme, l’inverno. E’ il responsabile della base Concordia nata per lo studio del clima (un progetto a cui collabora il Programma Nazionale di Ricerche in Antartide) attraverso perforazioni nel ghiaccio fino a 2730 metri di profondità per raccogliere carote di ghiaccio nelle quali sono imprigionate bolle d'aria che rappresentano l'archivio storico delle trasformazioni del clima del pianeta fino a 800mila anni fa. L’obbiettivo è di studiare il clima fino a 1,5 milioni di anni fa in questo laboratorio a cielo aperto.
 
Il racconto e le angosce a 16 mila km di distanza
Alberto Salvati, insieme ai colleghi ricercatori italiani in un lungo e affascinante post, racconta le sensazioni e le angosce di questo momento per i suoi familiari ad iniziare dalla sorella Laura che gestisce il negozio di alimentari di Cottanello e dei tanti amici in Sabina e a Roma dove ha una casa.   

«Siamo partiti cinque mesi fa dall’Italia sapendo che stavamo andando a vivere per un anno nel luogo più remoto ed estremo del pianeta. Ora siamo qui nel mezzo del plateau antartico e le persone a noi più vicine si trovano nello spazio: gli astronauti che ogni tanto passano sopra la nostra base con, la Stazione Spaziale Internazionale.
Eppure, il nostro isolamento ora non ci sembra più così estremo. Quello che sta accadendo nel mondo, ma soprattutto in Italia, ci rende tristi perché siamo preoccupati per i nostri familiari, i nostri amici, i nostri affetti che stanno vivendo un isolamento forse peggiore del nostro. I nostri principali nemici li conosciamo e sono il freddo e il fuoco: abbiamo già raggiunto la temperatura percepita di -91,9° e i rischi di congelamento o ipotermia sono elevati; qui l’aria è secchissima e un eventuale incendio può distruggere in pochissimo tempo la nostra unica casa che abbiamo, senza la quale la vita qui non è possibile».

«Ma voi state lottando contro qualcosa che non conoscete e non vedete un nemico che arriva in casa portato da un genitore o da un amico, che non permette di abbracciare le persone più care, che uccide i nostri anziani e le persone più deboli, che trasforma le nostre strade le nostre città e i nostri bei paesi in un campo di guerra con un nemico invisibile. Noi siamo qui per una nostra scelta, pronti a vivere altri mesi di isolamento sapendo che per qualunque motivo non possiamo andar via né qualcuno può venire ad aiutarci prima del prossimo novembre, quando le temperature torneranno a permettere i voli aerei».

«Voi, invece, state subendo questa tragedia, questa privazione della vostra libertà e non avete un posto in cui sentirvi veramente al sicuro. In questo momento difficile, nonostante la lontananza, siamo vicini a tutte le famiglie che hanno perso una persona cara e a tutti coloro che vivono nella paura e nella preoccupazione: quello che vogliamo dirvi da quaggiù, dal posto più remoto del mondo, è che non dovete scoraggiarvi e non dovete perdere la speranza, perché ne usciremo».

«Ne usciremo con il desiderio di un mondo migliore, con più umanità, più rispetto per la vita e non solo per quella umana. Ne usciremo con più umiltà, perché questa lezione servirà a ricordarci che non siamo i padroni di tutto e che dobbiamo avere più cura e rispetto di questo meraviglioso pianeta. Ne usciremo con più fiducia nella scienza e nella ricerca, motivo per cui noi siamo qui in Antartide. Ne usciremo con un mondo del lavoro ridisegnato e più a misura d’uomo. Ne usciremo con una scala dei valori modificata e finalmente sapremo mettere al primo posto quelli veramente importanti. Ci stringiamo a voi, resistete! Ne usciremo… e bene!».

La firma in calce è degli italiani in Antartide: Alberto, Andrea, Loredana e Luca

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