Ancora ieri il consigliere regionale Fabio Refrigeri auspicava una decisione condivisa a livello di comprensorio: «Qui bisogna capirsi: un conto è la ricostruzione, un conto è lo sviluppo di un territorio. Io, col paese totalmente azzerato dal terremoto, devo fare l’indispensabile, cioè ricostruire. E in fretta, prima di perdere anche la gente che è rimasta. Se poi lo Stato, la Regione sono bravi, fanno bene a pensare anche allo sviluppo del reatino, con una nuova Salaria e tutto. Ma io devo pensare ad Amatrice».
Ma davvero non si poteva pensare ad una collocazione meno infelice del Grifoni? All’inizio fu proprio il Comune a escludere la ricostruzione sul posto, ipotizzando lo spostamento al «don Minozzi».
«E’ vero, se ne parlò, ma per gli altri sarebbe stato anche peggio, perché l’ospedale sarebbe stato ancora più nostro. Comunque poi Stato e Chiesa non si misero d’accordo e non se ne fece più nulla», dice Palombini.
E così siete tornati sui vostri passi, senza però mai valutare voi per primi l’idea di dargli un’altra collocazione: «L’ospedale è una struttura che il paese storicamente aveva e che riavrà grazie anche al contributo decisivo del governo tedesco. E per ricostruirlo e in fretta la soluzione migliore è rifarlo dov’era. Attualmente siamo nelle condizioni di affidare l’incarico a un progettista e avere il progetto entro l’anno ed entro il 2019 avviare il cantiere. Se qualcuno mi porta una proposta parallela che abbia tempi paragonabili a questi io sono pronto a discuterne. Ma la verità è che non c’è altro sul tavolo. E d’altronde non si può riunire il cosiddetto tavolo dello sviluppo una volta ogni due mesi e vagheggiare condivisioni. Specie se tra un tavolo e l’altro non si decide nulla».
Poi l’avvertimento alla Regione: «Se poi le istituzioni dall’alto dicono che l’ospedale si fa da un’altra parte io faccio il referendum». Palombini osserva con scetticismo anche il dibattito sviluppatosi a Rieti sul de Lellis: «Mentre si discute se rifarlo nuovo o riparare quello che c’è si rischia di perdere anche quel poco che c’è». Con l’aria che tira e i «corvi» che girano all’ospedale è possibile.
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