Il giallo della postina scomparsa: le indagini sono partite troppo in ritardo

Il giallo della postina scomparsa: le indagini sono partite troppo in ritardo
di Massimo Cavoli
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Domenica 2 Ottobre 2022, 00:10

RIETI - Nella soluzione del giallo attorno alla sorte della postina in pensione Silvia Cipriani, i cui poveri resti sono stati ritrovati dopo oltre due mesi nei boschi intorno a Montenero, potrebbe incidere in modo negativo il ritardo iniziale nell’avviare le indagini per omicidio e occultamento di cadavere contro ignoti, dopo che il fascicolo originario aperto in procura in seguito alla denuncia, era stato rubricato come relativo a una persona scomparsa. 

La differenza tra le due diverse iscrizioni è sostanziale, in quanto nel primo caso, ipotizzando un reato doloso, il magistrato può disporre con immediatezza diversi strumenti di indagine, quali le intercettazioni telefoniche o la collocazione di apparecchiature per captare colloqui tra persone che potrebbero essere a conoscenza di particolari importanti sulla sorte della persona scomparsa e di eventuali contatti, rimasti sconosciuti, che potrebbe aver avuto con soggetti estranei per le ragioni più diverse. 

Gli esempi. Un esempio arriva da casi clamorosi di cronaca, quali quello relativo alla morte del giovane Marco Vannini, avvenuta a Ladispoli dopo essere stato colpito dal proiettile esploso dalla pistola che il suocero stava armeggiando in bagno, sono la conferma che le prime ore dell’inchiesta sono decisive. 
In quella vicenda, infatti, oltre ai ritardati soccorsi provocati dal comportamento di alcuni imputati, determinanti si rivelarono i colloqui intercettati nella sala di attesa del commissariato tra alcuni familiari impegnati a concordare la versione da offrire agli inquirenti quando sarebbero stati interrogati, che rivelarono brandelli di verità su quanto effettivamente era accaduto nella casa. 

Vicenda poi chiusa in Cassazione con quattro pesanti condanne. Ecco, aver quindi iniziato un’inchiesta per omicidio, peraltro contro ignoti, a distanza di oltre tre settimane dalla scomparsa della donna, potrebbe aver compromesso la possibilità di intercettare informazioni preziose da terze persone che oggi, alla luce di quanto accaduto, hanno più di un motivo per tacere. Accanto a questo aspetto, c’è poi il fatto che il ritrovamento di parti del corpo è avvenuto a distanza di oltre due mesi, il che complica ulteriormente gli accertamenti scientifici per individuare eventuali tracce di Dna di soggetti diversi sui resti della povera signora.

Andò, più o meno così, anche in occasione di due grandi gialli che negli anni 80 infiammarono il Reatino: il ritrovamento nel lago Turano, in tempi diversi, di due macchine contenenti i corpi saponificati di altrettanti uomini. 

Il primo apparteneva a un autista di autobus di Montelibretti, ucciso nel 1983 con tre colpi di pistola al viso e rinchiuso nel bagagliaio di una Fiat 124 gettata in acqua, dove fu ripescata nel 1986, dopo tre anni, perché ostruiva le paratoie. La seconda auto, una Fiat Uno, venne invece alla luce nel 1987, nel tratto di lago tra Paganico e Ascrea: in acqua c’era rimasta 305 giorni, dentro custodiva il corpo di un antiquario della provincia romana gettato nel Turano da persone rimaste sconosciute. 

I cadaveri. Ebbene, in entrambe le vicende giocò un ruolo negativo il ritrovamento dei cadaveri avvenuto dopo anni, tanto che in nessuno dei due casi si arrivò a stabilire la verità. Emblematica è l’affermazione riportata dai giudici nella sentenza del processo che assolse con formula piena in Corte di Assise un imprenditore di Osteria Nuova (oggi scomparso) per il delitto dell’autista: indicarono in quale precisa direzione si sarebbero dovute concentrare le indagini per arrivare agli assassini, ma il troppo tempo trascorso aveva compromesso tutto. Come potrebbe accadere anche per Silvia Cipriani, se davvero è stata la vittima di un omicidio, e non di una disgrazia. 

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