Rieti, coronavirus, da Londra all'Olanda:
la preoccupazione delle famiglie
reatine che vivono all'estero. Foto

Rieti, coronavirus, da Londra all'Olanda: la preoccupazione delle famiglie reatine che vivono all'estero. Foto
di Daniela Melone
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Giovedì 19 Marzo 2020, 13:41 - Ultimo aggiornamento: 13:55

«Ci sono gli aerei per tornare dai nonni?». È questa la domanda ricorrente di Marco e Camilla, i due bambini di Sara, reatina, che da due anni e mezzo vive in Olanda, dove suo marito si è trasferito per lavoro.
 

 

«Vivendo all’estero – spiega lei - la paura più grande è di ammalarsi in un posto che non ritieni casa tua. Stare in un ospedale dove non parlano la tua lingua, non aver nessuno che possa pensare ai tuoi bambini. Le preoccupazioni sono tante, ma diciamo che creare una routine a casa ci aiuta».

Anche in Olanda le scuole sono chiuse e i bambini alle prese con la didattica online. «Hanno dei compiti che gli vengono assegnati la mattina e che devo caricare per le maestre entro la giornata. Lo trovo molto utile. Anche bar, ristoranti e coffe shop sono chiusi da domenica sera. I negozi stanno riducendo gli orari di apertura e quasi tutti fanno dalle 13 alle 18. Alcune cose al supermercato non si trovano da dieci giorni, come il latte a lunga conservazione, le uova o la carta igienica. Purtroppo anche il Keukenhof, il parco di fiori più grande del mondo, che è vicino casa nostra, quest’anno non aprirà. Paura del Coronavirus? Si certo, come tutti credo. L’altra paura naturalmente è che si ammali la famiglia in Italia e tu non possa fare nulla, ma alla fine anche stando a casa avremmo potuto fare poco. Ringraziamo ogni giorno le webcam e le video chiamate».

Stesso discorso per Benedetta e Simone, entrambi reatini, entrambi cittadini londinesi da cinque anni. «Mia moglie – spiega lui - lavora nella finanza per una banca di investimenti, e io nella distribuzione industriale per un’azienda americana. Una buona parte del mio lavoro consiste nel viaggiare per incontrare clienti in Europa ed America, ma ora è tutto fermo. Qui abbiamo avuto il discorso dell’immunità di gregge e poi la retromarcia, le prime comunicazioni dicevano di vivere come sempre, ora qualcosa si è mosso. Forse hanno preso coscienza che non è uno scherzo. I casi accertati sono molti di meno, forse anche perché si fanno meno controlli. Sono invece molto soddisfatto di come si stia gestendo l’emergenza in Italia, noi stiamo facendo progetti qui, ma l’idea di tornare a casa c’è sempre, magari un po' più in là».

 Francesco, 30 anni, lavora da giugno come grafico pubblicitario in Inghilterra, in una cittadina balneare a due ore da Londra. «È una piccola città come Rieti, non c’è il grande traffico di persone che può esserci nella capitale – commenta - Qui abbiamo avuto due casi di Coronavirus due settimane fa e tutto il mio ufficio sta lavorando da casa. Si cerca di non entrare nel panico, per quanto mi riguarda seguo le notizie dall’Italia e mi tengo ogni giorno in contatto con i miei familiari. Tutte le attività sono aperte, i pub, le palestre, i negozi non hanno regolamentazioni. Non c’è ancora un allarme nazionale».

Francesco ha un fratello gemello, Alessandro. Anche lui vive in Inghilterra, a una sessantina di chilometri da Londra. «Lavoro sugli aerei, sono un cabin crew. Di tornare in Italia non se ne parla. Al momento non sono preoccupato, l’unica cosa è che tra un po' ce ne staremo a casa perché i voli saranno sospesi. Da voi la situazione è anche peggio e poi qui ho tutto».

Tutto, tranne la mamma che è sempre la mamma e che da Rieti si dice preoccupata: «Spero che usino tutte le cautele necessarie, perché il governo inglese non li tutela per niente».

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