Cisterna esplosa lungo la Salaria, i familiari delle due vittime reatine si oppongono all'archiviazione

Cisterna esplosa lungo la Salaria, i familiari delle due vittime reatine si oppongono all'archiviazione
di Massimo Cavoli
4 Minuti di Lettura
Domenica 28 Febbraio 2021, 00:10

RIETI - Due morti non possono restare senza giustizia, è un verdetto ritenuto inaccettabile dalle famiglie del vigile del fuoco Stefano Colasanti e di Andrea Maggi, vittime dell’esplosione di una cisterna di carburante, avvenuta il 5 dicembre 2018, in un distributore della società “IP” lungo la via Salaria per Roma. La richiesta di archiviare l’inchiesta presentata dalla procura della Repubblica perché non è stato depositata la perizia che doveva far luce sulle cause dell’incidente e sulle eventuali responsabilità, sarà impugnata dagli avvocati delle parti offese.

Sono tredici quelle che si sono costituite, ci sono gli eredi di Colasanti, i familiari di Maggi, compreso un fratello gemello rimasto particolarmente scosso dalla tragedia, e alcuni di quelli che rimasero seriamente feriti in seguito all’esplosione. Altre persone o attività lavorative coinvolte, ma in forma leggera, hanno rinunciato a presentare le querele (è il caso di una ditta, la cui sede si trova di fronte al distributore della tragedia) oppure hanno scelto di rivolgersi direttamente in sede civile per chiedere il risarcimento danni alle assicurazioni. 
All’opposizione contro la richiesta di archiviazione sta lavorando l’avvocato Bruno Mattei, studio legale a Roma, un passato da giudice di pace di Rieti, che assiste la famiglia Maggi, mentre i colleghi romani Giada Di Maggio e Paolo Paolucci seguono gli eredi Colasanti.

Da subito, non appena ricevuta la notifica firmata dal sostituto procuratore Lorenzo Francia e controfirmata dalla procuratrice capo Lina Cusano, l’avvocato Mattei ha iniziato a studiare le carte dell’inchiesta perché ci sono venti giorni di tempo per presentare l’opposizione al giudice delle indagini preliminari.

Il ricorso. «E’ un lavoro corposo, perché il fascicolo è composto da 1.500 pagine, ma ritengo di poter affermare che ci sono diversi aspetti da sottoporre al vaglio del gip. A partire dalle testimonianze – sottolinea il difensore – ce ne sono alcune raccolte dai carabinieri nell’immediatezza dei fatti, che a nostro avviso possono fornire un importante contributo di chiarezza su quanto, e perché, è accaduto quel pomeriggio. Sono testi oculari, si trovavano nell’area del distributore quando è arrivato il mezzo e sono rimasti a guardare quando sono iniziate le operazioni per travasare il carburante gpl dalla cisterna al serbatoio interrato. Hanno visto da dove sono partite le fiamme, esattamente dalla parte posteriore dell’autobotte dove sono collegati i tubi e, secondo quanto hanno riferito nei verbali acquisiti dalla procura e allegati agli atti, non c’era quello di sfiato. Si tratta naturalmente – aggiunge l’avvocato Mattei - di dichiarazioni rese a sommarie informazioni, che avrebbero però necessitato di un’approfondita verifica per contribuire a comprendere meglio la dinamica dell’incidente. Mi risulta che non siano mai stati interrogati dopo quel giorno. Ci sono altri elementi, poi, che non sono stati tenuti in considerazione e che evidenzierò nell’atto di opposizione. Mi preme però sottolineare che i familiari si aspettano solo giustizia e di sapere perché i loro cari sono morti, non sono certo alla ricerca di vendette personali».

Nel frattempo, in sede civile è iniziata la causa contro le compagnie assicuratrici «ma anche se si tratta di un processo autonomo, l’archiviazione del procedimento penale potrebbe avere il suo peso», chiosa ancora Bruno Mattei.

Il dilemma. Ma c’è una domanda che continua a rimbalzare tra i legali: perché, quando il perito incaricato di stabilire le cause dell’esplosione ha iniziato a tardare nel fornire le risposte, non è stato convocato per essere sollecitato? «I magistrati hanno la possibilità di revocare i consulenti da loro stessi nominati e incaricarne altri - chiosa il difensore di una delle parti offese – anche perché la Cassazione ha stabilito che il termine massimo di 24 mesi delle indagini preliminari non può essere superato, se non per reati particolari».

In effetti, la procuratrice Cusano e il suo vice Francia, nel chiedere al gip l’archiviazione delle indagini, fanno espresso riferimento al mancato deposito della perizia da parte del consulente tecnico, nominato due anni prima, sottolineando l’impossibilità di proseguire oltre nell’inchiesta proprio per i paletti temporali imposti dalla Cassazione. Ora, l’attesa è solo per sapere quale decisione assumerà il giudice delle indagini preliminari, che potrà archiviare, disporre nuovi accertamenti o imporre alla procura di formulare l’imputazione coatta nei confronti degli indagati se riterrà che nuovi elementi possano giustificare la celebrazione di un processo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA