Una cosa appare certa che Papa Francesco, al contrario di quello che accadde nel 2012, quando infuriava Vatileaks parte prima, sembrerebbe intenzionato ad andare fino in fondo. Senza timori di sorta perché, come ha detto molte volte durante la messa a Santa Marta, quando si entra in una stanza e si avverte odore di muffa o di chiuso, bisogna spalancare la finestra e fare entrare l'aria pulita, frizzantina, salutare.
LA PRUDENZA
Durante le fasi del primo Vatileaks quando finirono a processo il maggiordomo invasato, un tecnico dei computer e un gendarme infedele - tutti sostanzialmente pesci piccoli – anche Papa Ratzinger come Bergoglio diede ordine alla gendarmeria di andare avanti e procedere con le indagini. Solo che i passaggi successivi si fermarono senza un vero perché. Nessuno si mise sostanzialmente di traverso ma l'inazione portò gradualmente alla paralisi dell'inchiesta. Poi ci furono le dimissioni di Ratzinger, il conclave, l'elezione del nuovo Papa e la cosa finì nel dimenticatoio, nella speranza che anche nei cuori venisse archiviata. Ma evidentemente non era destino. Così la Vatileaks parte seconda che ha portato agli arresti di Francesca Chaouqui e monsignor Lucio Vallejo Balda, viste le premesse, sembrerebbe destinata a mettere la parola “fine” alle deviazioni interne che ancora presenta il sistema. Sacche di malcontento antico che si nasconde nelle pieghe, avvelenando il clima circostante. Ma come si è arrivati ai clamorosi arresti di sabato? E questi arresti hanno a che fare con le tossine fatte circolare due settimane fa con la pubblicazione della falsa notizia riguardante il tumore benigno al cervello del pontefice e la storia improbabile del chirurgo giapponese (peraltro indagato a Salerno) che lo avrebbe avuto in cura? Nessuno al momento può dirlo ma è probabile che un collegamento possa saltare fuori. I gendarmi hanno avuto un mandato ben preciso. Fare uscire tutto il pus. E il ventaglio delle ricerche prosegue ad ampio raggio.
L'inchiesta attuale è nata da un furto avvenuto nell'ufficio del revisore dei conti, il dottor Milone, il quale accortosi di un ammanco di documenti ha fatto partire le indagini alla magistratura. L'esito di questo filone investigativo si è rivelato provvidenziale, una autentica miniera che ha fatto emergere prove evidenti, schiaccianti, chiarissime contro la Chaouqui e monsignor Balda mettendo di conseguenza l'accento sulle relazioni con i giornalisti Nuzzi e Fittipaldi. Non solo. La rete evidenziata comprende un ventaglio di ipotesi, ben più ampio di quanto si potesse pensare. Chaouqui quando sabato pomeriggio si è presentata spontaneamente in Vaticano non si aspettava di certo l'arresto anche se si è messa a disposizione. Anche monsignor Vallejo Balda è caduto dalle nuvole, ma contrariamente alla sua ex collega si rifiuta di collaborare. La gravità di quello che ha fatto è evidente, ha calpestato il solenne giuramento di fedeltà fatto al Papa nel 2013, quando ebbe l'incarico di guidare la commissione Cosea. Alto tradimento. Sottrazione e divulgazione di documenti riservati. E così che ancora una volta le celle vaticane si sono riempite.
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