Vaticano, la damnatio memoriae dell'archeologa Guarducci dimenticata solo perché donna

Vaticano, la damnatio memoriae dell'archeologa Guarducci dimenticata solo perchè donna
di Franca Giansoldati
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Mercoledì 27 Giugno 2018, 13:05 - Ultimo aggiornamento: 2 Luglio, 09:37
Città del Vaticano – Quando si dice che la curia è (e resterà) maschilista. Non solo per il sistema di sfruttare legioni di suore come colf o per la cronica mancanza di figure femminili nei ruoli apicali nell'amministrazione. E' evidente che la discriminazione di genere al di là del Tevere si declina anche in altri campi. Per esempio nell'oscurare il lavoro scientifico fatto – quasi una congiura - dalla  grande epigrafista - Margherita Guarducci - nel cinquantesimo anniversario della più importante scoperta archeologica fatta in Vaticano nell'ultimo secolo.

Esattamente il 26 giugno 1968, il beato Paolo VI confermava alla Chiesa e al mondo l'autenticità delle reliquie dell'Apostolo Pietro scoperte dall'archeologa Margherita Guarducci (Firenze, 20 dicembre 1902 – Roma, 2 settembre 1999). Una figura alla quale la scienza e la cultura, ma soprattutto il cristianesimo, devono tanto ma sulla quale per gelosie interne è caduta una sorta di damnatio memoriae.

Guarducci per anni fu costretta a combattere dentro la Chiesa una lunga battaglia per non farsi scippare la paternità delle sue scoperte. Chi ricostruisce questa cospirazione è una sua amica, Stefania Falasca, editorialista dell'Avvenire e scrittrice. Falasca racconta che in una delle sue ultime udienze private Paolo VI volle ringraziare la Guarducci per il ritrovamento e il successivo riconoscimento delle reliquie dell’Apostolo Pietro nella Basilica vaticana.

Ma scomparso Montini, per questa studiosa fiorentina di altissimo livello iniziò la congiura del silenzio. Fu piano piano messa da parte nonostante avesse localizzato la tomba di Pietro e le ossa, proprio sotto l'Altare della Confessione. Archeologa e specialista di epigrafia greca, materia che insegnò fino al 1973 alla Sapienza e poi, negli anni successivi, alla Scuola Nazionale di Archeologia, la Guarducci ha fatto parte anche di numerose accademie scientifiche italiane e straniere, tra le quali l’Accademia Nazionale dei Lincei e la Pontificia Accademia Romana di Archeologia.

Morto Paolo VI il virus del maschilismo strisciante della curia ebbe la meglio e già negli anni Novanta delle ricerche compiute dalla Guarducci non apparivano più neppure sulle guide in uso alla necropoli. Persino la guida scritta dalla studiosa e stampata per i visitatori con le parole riconoscenti di Paolo VI «per l’esito di così significativo avvenimento archeologico» era stata ritirata. Non solo. Dopo la morte di Paolo VI alla Guarducci venne addirittura negato l’ingresso nei sotterranei. Eppure basta leggere l'opera in tre volumi sui graffiti sotto la Confessione di San Pietro per capire l’assoluto rigore scientifico del suo metodo di lavoro e del riscontro analitico alla base delle sue conclusioni.

Cosa accadde lo spiega Falasca: «È grazie alla sua competenza e tenacia che dobbiamo la scoperta dell’ubicazione esatta dei resti mortali del Pescatore di Galilea e il riconoscimento della loro autenticità. Gli unici, almeno finora, in tutto l’Occidente e l’Oriente sicuramente attestati di un apostolo di Cristo. È stata lei a salvare e consegnare alla storia e alla Chiesa un dono preziosissimo, ma fu trattata con sussiego a causa di invidie e meschinità di un certo curialismo di quegli anni, che purtroppo forse mal tollerava fosse una studiosa a giungere a tali esiti». In pratica un gruppo di religiosi piuttosto influenti che avevano compiuto tra il 1940-1949 degli scavi rudimentali sotto la Basilica vaticana facendo parecchi anche pasticci (come per esempio fare crollare alcuni parti o mettere le ossa di Pietro in una scatola da scarpe e riporla in uno sgabuzzino) riuscirono, successivamente la morte di Paolo VI, ad avere la meglio ed arrivare alla damnatio memoriae della Guarducci.

«Penso - scrive ancora Falasca - che ancora il suo nome non sia stato restituito pienamente accanto a quello delle memorie superstiti del primo Papa e che dopo cinquant’anni la sua memoria dovrebbe essere onorata pubblicamente per quello che le si deve. Che la Chiesa intera le deve».




 
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