L’ultima puntualizzazione risale a stamattina: «Senza la misericordia la nostra teologia, il nostro diritto, la nostra pastorale corrono il rischio di franare nella meschinità burocratica o nell’ideologia». In una lettera inviata all'arcivescovo di Buenos Aires, Mario Poli per celebrare il centenario della Facoltà Teologica dell'Università Cattolica argentina, il Papa osserva: “Bisogna andare avanti. Insegnare e studiare teologia significa vivere su una frontiera, quella in cui il Vangelo incontra le necessità della gente a cui va annunciato in maniera comprensibile e significativa».
E ancora. «Dobbiamo guardarci – ha messo in guardia il Papa - da una teologia che si esaurisce nella disputa accademica o che guarda l’umanità da un castello di vetro. Si impara per vivere: teologia e santità sono un binomio inscindibile. La teologia che elaborate sia dunque radicata e fondata sulla Rivelazione, sulla Tradizione, ma anche accompagni - ha aggiunto - i processi culturali e sociali, in particolare le transizioni difficili. In questo tempo la teologia deve farsi carico anche dei conflitti: non solamente quelli che sperimentiamo dentro la Chiesa, ma anche quelli che riguardano il mondo intero e che si vivono lungo le strade dell’America Latina». Insomma, per farla breve, la “teologia da tavolino” deve essere sostituita con una teologia pratica, di frontiera. “Anche i buoni teologi, come i buoni pastori, odorano di popolo e di strada e, con la loro riflessione, versano olio e vino sulle ferite degli uomini». Morale: la teologia sia espressione di una Chiesa che è “ospedale da campo”, che “vive la sua missione di salvezza e guarigione nel mondo. La misericordia non è solo un atteggiamento pastorale ma è la sostanza stessa del Vangelo”.