Manila, in sette milioni alla messa. Papa Francesco: «La Chiesa è un po' maschilista»

Manila, in sette milioni alla messa. Papa Francesco: «La Chiesa è un po' maschilista»
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Domenica 18 Gennaio 2015, 09:31 - Ultimo aggiornamento: 20 Gennaio, 19:27

dal nostro inviato Franca Giansoldati

MANILA - La moltitudine che cresce, cresce di ora in ora riempiendo ogni centimetro di spazio dei dieci chilometri di boulevard che costeggiano l'oceano e portano a Rizal Park, ultimo appuntamento nelle Filippine per Bergoglio, con «almeno 6 milioni di persone». Parola del cardinale Tagle. Vedendo dall'alto la massa umana è difficile dubitare della stima. Un record.

Intanto Francesco, the Pope of the poor, due ore prima della messa ha incontrato i giovani, ed è stato un altro bagno di folla.

Ha urlato contro la povertà, i bambini abusati e la discriminazione femminile. Con fare scherzoso ha ammesso che, effettivamente, la Chiesa «è un po' maschilista». Mai un Papa aveva avuto il coraggio di dire le cose come stanno, e cioè che la presenza delle donne nelle strutture cattoliche è ancora assai marginale. «Le donne hanno molto da dirci nella società. Tante volte noi siamo maschilisti, eppure una donna è capace di vedere che cose con occhio distinto, con uno sguardo differente. E' capace di porre questioni che noi uomini non siamo in grado di capire».

Il Papa osservava con amore un gruppo di bambine vestite di rosa sul palco accanto a lui. Orfane, salvate dalla strada. «Oggi l'unica domanda ce la ha posta la piccola Jun. Non le sono bastate le parole e così ha pianto, ha avuto bisogno delle lacrime. Così quando arriverà il prossimo Papa a Manila facciamo in modo che ci siano più donne». La riflessione sulle donne gli è venuta spontanea dopo avere ascoltato proprio la testimonianza di Jun che, parlando a microfono della sua storia, ad un tratto è scoppiata in lacrime.

Bergoglio parlava a braccio, in spagnolo, tradotto simultaneamente da un sacerdote. Rifletteva sul dolore dei bambini. «Ci sono certe realtà che possono essere viste e osservate solo attraverso le lacrime. Invito ognuno ad interrogarsi, ad imparare a capire che significa vedere un bambino abbandonato, un bambino abusato, un bambino senza casa, un bambino senza famiglia, un bambino povero».

Il Papa delle periferie di fronte alle lacrime di Jun ha deciso di non leggere il discorso precotto, esattamente come aveva fatto anche ieri a Tacloban, nel Sud del paese, sui luoghi devastati dal micidiale tifone Yolanda. «Ci sono momenti in cui le parole non servono tanto». Davanti a questi ragazzi Bergoglio ha ritrovato altre energie. «La realtà è superiore all'immaginazione e l'immaginazione vostra è superiore a tutte le idee che avevo inserito nel mio discorso».

L'esortazione valida per ogni cristiano, a qualsiasi latitudine del pianeta, in fondo è semplice, basta attraversare il dolore, le lacrime. «Se non impari a piangere non sarai un buon cristiano». L'esempio della piccola Jun gli deve essere tornato utile. «La domanda sul perché i bambini soffrono, perché ci sono tante tragedie. La risposta o è il silenzio, oppure le parole che nascono dalle lacrime». Che poi sono le parole che riescono a trasmettere davvero calore, vicinanza, amore.

Poi il Papa è passato a riflettere sul fenomeno della incomunicabilità giovanile, in un mondo in cui aumentano in modo esponenziale le fonti di informazioni, i social network, i satelliti, il web, la tv. Ai ragazzi ha chiesto di non smettere di investire nel contatto umano. «Noi tendiamo ad avere una psicologia da 
computer, che crede di sapere tutto; "Come e’ questo? Cerco sul 
computer". Nel computer ci sono tutte le risposte ma nessuna 
vera sorpresa. E allora? Solo se ci lasciamo sorprendere possiamo 
amare e lasciarci amare».

Insomma, evitate di essere “giovani-museo”, una espressione di fantasia coniata lì per lì. Chi sono i giovani museo? Quelli tutto computer, 2.0, sempre connessi ma con poco cuore.

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