«Per molto tempo - ricorda il Papa nel ’rescritto pubblicato oggi - il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorita’, dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravita’ di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune. Oggi e’ sempre piu’ viva la consapevolezza che la dignita’ della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi. Inoltre, si e’ diffusa una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato. Infine, sono stati messi a punto sistemi di detenzione piu’ efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilita’ di redimersi».
Nel vecchio testo, ora emendato, veniva ripreso l’insegnamento tradizionale della Chiesa che non escludeva «supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole», il ricorso alla pena di morte, «quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani». Naturalmente il catechismo faceva riferimento al bisogno di evitare i mezzi incruenti per difendersi dall'aggressore e «proteggere la sicurezza delle persone» visto che più conformi alle condizioni concrete del bene comune.
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