L'Osservatore Romano risolve il giallo della misurazione delle ore nel passato

L'Osservatore Romano risolve il giallo della misurazione delle ore nel passato
di Franca Giansoldati
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Giovedì 4 Settembre 2014, 15:57 - Ultimo aggiornamento: 7 Settembre, 10:41
Citt del Vaticano - Il giornale del Papa fa le pulci al tempo e chiarisce il giallo della misurazione delle ore nei secoli passati. Come si calcolava il tempo prima dell’Ottocento

Insomma, che ore erano di preciso? In un lungo articolo pubblicato sull'Osservatore Romano viene spiegato con ricchezza di dettaglio come e perchè le usanze rispetto a quelle odierne apparentemente risultano tanto bizzarre.



Chiunque si trovi a leggere testi italiani del 700 o dell'800, specialmente narrazioni del transito dei santi e cronache di conventi, monasteri e province religiose, ci si imbatte in orari particolari: monache che si coricavano alle 4 e si alzavano alle 12, funerali che avvenivano alle 24, gente che arrivava nei monasteri alle 2 di notte, eventi che accadevano alle 14 di mattina. Errori nei documenti? No, spiega il quotidiano d'Oltretevere: solo una scansione cronologica diversa da quella oggi convenzionalmente in uso.



Anzitutto, si legge nello studio, l’ora non era una unità di durata costante, c’erano quattro possibili schemi di riferimento: le “ore babiloniche” che iniziavano dal sorgere del sole, le “ore italiche” che partivano dal tramonto, le “ore astronomiche” o comuni che si contavano dal mezzogiorno e dalla mezzanotte, le “ore antiche”, la cui durata era diversa a seconda che fosse giorno o notte. Oggi è universalmente in vigore il terzo modo, quello che nei secoli passati si usava in molte parti d’Europa ma non in Italia, dove era invece diffuso il cosiddetto orario italiano, che contava le ore a partire dal tramonto.



Dopo la caduta dell’Impero romano d’occidente, la Chiesa conservò a lungo la cronometria romana: rimase la netta divisione tra ore diurne e notturne, restarono in vigore le ore inaequales o temporariae, il calendario giuliano e la datazione romana, il dies naturalis o civilis — la Chiesa lo chiamò dies ecclesiasticus — che andava da una mezzanotte alla successiva, diviso in dies artificialis e nox. E gli orari contenuti in testi provenienti da altre tradizioni venivano adeguati al modello romano: ad esempio, nei Vangeli della vulgata latina, la morte di Gesù in croce avvenne «all’ora nona», cioè alle tre del pomeriggio.



A sua volta il cristianesimo, quando fu introdotto a Roma e in Europa, portò con sé alcune tradizioni ebraiche. Una di queste era il computo dei giorni, diverso da quello romano. In oriente il giorno finiva e ricominciava al tramonto del sole: si tratta del giorno mosaico o biblico.

Nel XIII secolo cominciarono a diffondersi gli orologi meccanici, cioè macchine regolate da pesi, dall’acqua o dai cosiddetti rotismi. Simili orologi vennero montati su torri civiche e cattedrali e sulle chiese dei monasteri e delle abbazie più importanti, al punto da diventare orologi pubblici che regolavano la vita di tutta una comunità religiosa e cittadina. Grazie al loro moto uniforme, questi orologi meccanici tendevano a individuare ore sempre uguali da sessanta minuti, le così dette horae aequinoctiales, quelle degli equinozi. Per questo il giorno venne diviso in ventiquattro ore da sessanta minuti l’una; visto che, come abbiamo detto, liturgicamente il nuovo giorno iniziava al tramonto del sole, queste ore si cominciavano a contare da 1 a 24 a partire da quel momento fino al tramonto successivo. Tale orario si diffuse moltissimo in Italia: perciò si parlava di ore italiane, ore all’italiana, ma anche di orario biblico o orario liturgico.



Quando, il 29 gennaio 1578, si scrive che la clarissa suor Serafina del monastero di Monteluce di Perugia rese l’anima a Dio «la sera a un’hora di notte», si intende un’ora dopo l’Ave Maria. Nello stesso monastero, il 7 novembre 1587, suor Angelina «passò di questa vita presente alla migliore il venerdì a sera fra le due e tre hore», cioè due o tre ore dopo l’Ave Maria.



Una testimonianza importante è riportata da Goethe colpito da questo modo di contare le ore tanto diverso da quello tedesco. «Qui, al caldo della notte, è veramente passato un giorno ch’è consistito di sera e di mattina, sono state vissute ventiquattr’ore, comincia un nuovo conto, suonano le campane, si recita il rosario... Questo momento cambia ad ogni stagione, e l’uomo, che qui vive di vera vita, non può sbagliarsi, perché in ogni istante di godimento della vita non si rifà all’ora segnata, ma all’ora del giorno. Se si costringessero costoro al sistema orario tedesco, gli si confonderebbero le idee, perché il sistema che usano è strettamente contesto alla natura in cui vivono». Nonostante l’entusiasmo di Goethe, l’orario italiano cessò verso il 1850.
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