Le domande sulla fede/ La forza dello scienziato che batte la disabilità

di Franca Giansoldati
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Giovedì 15 Marzo 2018, 00:04
Dio può convivere benissimo con i buchi neri. «In fondo quello che vuole insegnarci la Bibbia non è tanto come è fatto il cielo o le galassie, ma semplicemente come si va in cielo». Un giorno, verso la fine del 1981, quando Giovanni Paolo II incontrò per la prima volta Stephen Hawking, qualche mese dopo l’attentato di piazza san Pietro, disse al genio dell’astrofisica e ad altri scienziati ricevuti in Vaticano più o meno questa frase, anticipando così le basi di un dialogo in divenire che avrebbe riguardato il tema centrale del rapporto tra scienza e fede. Hawking faceva parte da più di dieci anni come membro permanente della Pontificia Accademia delle Scienze, un luogo accademico privilegiato, dove decine di Premi Nobel e scienziati si riunivano periodicamente per riflettere sui temi riguardanti il futuro dell’umanità, parlandone liberamente al di là delle proprie confessioni religiose o politiche.

A proposito di quell’incontro Hawking commentò che il suo interesse per l’origine dell’universo fu risvegliato proprio da quel seminario. Come si sa nella teoria di Hawking - che applica la quantizzazione della gravità per spiegare l’origine cosmologica dell’universo - non è richiesta l’esistenza di Dio, perché l’universo è concepito in modo da non avere bisogno di condizioni ai limiti. Si tratta di una delle scoperte intellettuali più importanti degli ultimi tempi che però, secondo miliardi di credenti nel mondo, non colma le risposte sulla fede che resta qualcosa di potente e impenetrabile, si radica nel cuore dell’uomo, ed è capace di parlare al di là dello spazio-tempo e proiettarsi oltre ogni confine. Esiste un dopo? La domanda che è stata un rovello per Hawking è il dialogo tra la scienza e la fede. Quando fu eletto Papa Ratzinger volle tornare a Roma, anche se gli spostamenti cominciavano a non essere tanto semplici per via dell’aggravarsi della sua malattia. L’incontro con Benedetto XVI ebbe come testimone il Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze, monsignor Marcelo Sorondo. «Appena lo vide disse: “volevo venire da lei per parlare del rapporto tra la scienza e la fede”. Volle anche farsi benedire, cosa Che Papa Ratzinger fece, impartendogli un segno della croce in fronte».

Eppure lo scienziato che più di tutti ha indagato sul mistero dei misteri, il big bang e l’inizio della scintilla, si professava ateo, non credeva in nessuna delle cose che non poteva spiegare, era scettico sui miracoli anche se la sua vita stessa gli scienziati non riuscivano a spiegarla. I medici gli avevano dato non più di due o tre anni di vita per la sclerosi laterale amiotrofica, e invece Hawking si è sposato, ha avuto figli e ha viaggiato nel mondo per le conferenze, seppure incollato a una carrozzella e a un computer. Affermò in diverse circostanze che non c’è posto per Dio nella creazione dell’universo, perché la forza di gravità sarebbe la causa di un’autoposizione del mondo dal nulla. Ma Sorondo che lo ha incontrato tante volte non crede nella tesi dell’ateismo. Una patente superficiale che gli è stata incollata. «Non era ateo. Semmai non credeva nel concetto di un Dio tappabuchi, cioè una divinità che viene scomodata ogni qual volta non si riesce a spiegare qualcosa. Tanto che lui diceva che faceva scienza e non filosofia». Un po’ come San Tommaso quando diceva che il mondo abbia avuto inizio è oggetto di fede, ma non di dimostrazione o di scienza.
 
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