In Armenia, al confine turco, un ospedale italiano fa vivere la pace

(foto Osservatore Romano) la strada per l'ospedale italiano al confine turco
di Franca Giansoldati
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Sabato 25 Giugno 2016, 11:58
GYUMRI (Armenia) La messa di Papa Bergoglio all'aperto è una specie di fornace. Gyumri è su un altipiano a 1800 metri. Il confine turco dista qualche decina di chilometri. Il sole è cocente. Il Papa avrebbe voluto andare a visitare l'ospedale italiano che è stato costruito dopo il grande terremoto del 1991. Per arrivare a destinazione bisogna armarsi di santa pazienza perché la strada asfaltata è piena di buche profonde e bisogna stare attenti a scansarle con maestria per due ore buone se non si vuole danneggiare la vettura. Ad accogliere chi arriva fino a là c'è padre Mario Cuccarollo, un frate di Vicenza che non ha perso l'accento del Nord.

«Sono qui dal 1991 per obbedienza, mi hanno mandato i miei superiori e da allora non mi sono mai spostato», racconta allegro. Dirige l'unico ospedale della zona, un edificio costruito su impulso di Papa Wojtyla, vent'anni fa con i soldi della Cei e mantenuto grazie all'otto per mille. Visto che il welfare in Armenia risente delle condizioni economiche generali piuttosto critiche, tipiche di un Paese con poche risorse e con spese altissime destinate alle forze armate, l'ospedale Redemptoris Mater è preziosissimo. Il bilancio complessivo è di 600 mila euro l'anno, naturalmente cifre altissime da queste parti. Il 40 per cento lo copre la Cei con l'otto per mille, i restanti denari vengono raccolti da benefattori vari. La generosità ha mille forme e arriva sempre nelle mani di padre Cuccarollo.
«Venite a vedere il reparto di maternità e di pediatria». Con orgoglio si fa strada tra lindi corridoi per arrivare davanti a una bambina appena nata. Maria.

La mamma non la ha riconosciuta al momento della nascita e ora è in attesa di essere adottata. Nel reparto di ginecologia nascono circa 200 bambini l'anno. Dieci anni fa il numero era il doppio, il calo della natalità è evidente e anche da queste parti avanza. La visita all'ospedale procede lentamente. Due sale operatorie, il reparto di medicina generale, pediatria, ginecologia. La caposala è una suora francese, di origine italiana che ha vissuto per vent'anni a Beirut tra la comunità armena. E' una figlia di Charles Foucauld. Parla in italiano e in francese. Trovano lavoro, tra medici e inservienti, circa 500 persone. Una ecografia viene fatta pagare l'equivalente di due euro. Se non ci fosse questo ospedale il tessuto sociale di questa zona colerebbe a picco. Fuori il paesaggio è di una bellezza struggente. Montagne collinose verdissime. Nessuno le abita più da parecchio, da quando l'Urss si è decomposta e Mosca subito dopo ha chiuso le fabbriche che c'erano nella zona. La gente piano piano se ne è andata. Mancava lavoro. Così alla fine sono restati solo i pastori. Il cielo è basso.

Sembra distante persino Gyumri, la seconda cittadina più grande dell'Armenia dove si entra facendo una rotatoria in una piazza immensa sovrastata dalla statua di Charles Aznavour. La piazza è dedicata al chansonnier francese, icona immensa per il popolo armeno, per gli aiuti materiali che ha raccolto dopo il terremoto devastante. Ogni persona in Armenia è figlia, nipote o pronipote della prima tragedia del Novecento, il Metz Yegern, tradotto: il grande male, il genocidio che nel 1915 ha anticipato per sistematicità e per dinamica la follia della Shoah. Ormai che tutti i sopravvissuti sono morti, ne restano in vita pochissimi, non resta che tramandare le radici comuni. Le vittime non sono morte invano.  
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