La Cei contro la proposta di riaprire i Centri di espulsione: «Sono gabbie a cielo aperto»

La Cei contro la proposta di riaprire i Centri di espulsione: «Sono gabbie a cielo aperto»
di Franca Giansoldati
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Martedì 3 Gennaio 2017, 17:24 - Ultimo aggiornamento: 4 Gennaio, 07:56
Città del Vaticano - La Fondazione Migrantes della Cei si scaglia contro la proposta del Governo Gentiloni  di riaprire i Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) in ogni regione. “Riaprire i CIE significherebbe moltiplicare le situazioni di non tutela. Attraverso i CIE si cerca la sicurezza ma si creerà solo insicurezza: sono gabbie a cielo aperto, assolutamente ingestibili come dimostrano le rivolte e le devastazioni che ne hanno determinato la chiusura”. Insomma un altolà motivato dalle esperienze negative del passato. Monsignor Giancarlo Perego, direttore della fondazione che si occupa del fenomeno migratorio, ha pochi dubbi in proposito. “Luogi ingestibili”.

Quanto agli incidenti che sono scoppiati nel centro di prima accoglienza di Cona, in provincia di Venezia, dimostrano di come le realtà locali, scelte per accogliere grandi numeri di migranti rischiano di diventare “aree a rischio, esplosive”. Ignorare questi rischi “non è salutare e sono un campanello di allarme per un cambiamento di rotta verso una accoglienza diffusa su tutto il territorio, con numeri ridotti, accompagnata e affidata a realtà qualificate e con il controllo delle comunità locali, cioè i comuni”.

“È evidente – dice Perego – anche l’esasperazione da parte degli ospiti del centro che, come si sa, vivono in una condizione di abbandono molto grave che ha portato a un gesto sicuramente da condannare – la rivolta e la distruzione -, ma che certamente ha dei fondamenti non di poco conto a cui si è aggiunto, come elemento scatenante, il fatto che solo dopo 5 ore è arrivata l’ambulanza per una donna, che si trovava in una situazione di pericolo di vita . Si tratta quindi di una inadempienza grave”.

Da parecchio tempo la Cei, attraverso la Fondazione Migrantes, chiede alle istituzioni civili di affidare i Centri di accoglienza straordinaria a realtà con esperienza, mentre invece capita che vengano destinate a realtà dove scarseggiano persino i controlli sulla gestione.

“Occorre ripetere il bisogno di passare dai grandi centri che possono diventare ingestibili ed esplosivi, come è avvenuto in queste ore nel centro veneziano, ad una accoglienza diffusa, con pochi numeri”.
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