Il beato Engelmar era nato nel 1911 a Greifendorf, nell’odierna Repubblica Ceca. Nel campo riuscì a guadagnarsi la fama di “santo” e “angelo di Dachau” per la cura che aveva dei prigionieri ammalati di febbre tifoidale. Nelle baracche i malati venivano ammassati e spesso morivano in uno strazio senza fine, senza cure, senza assistenza, senza cibo.
Padre Unzeitig, in una lettera, scrisse: «Qualunque cosa facciamo, qualunque cosa vogliamo, è sempre e solo la grazia che ci guida e ci porta. La grazia di Dio onnipotente ci aiuta a superare ogni ostacolo. L’amore duplica le nostre forze, ci rende fantasiosi, contenti e liberi. Se solo la gente sapesse che cosa Dio ha in serbo per quelli che Lo amano!». E ancora: «Anche dietro i più grandi sacrifici e le peggiori sofferenze c’è Dio con il suo amore paterno, che è soddisfatto dalla buona volontà dei suoi figli ai quali dona la felicità».
Il tifo contagiò anche padre Unzeitig che morì il 2 marzo 1945. Poche settimane dopo, gli americani liberarono i detenuti. Per la Chiesa è stato ucciso in odium fidei.
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