Le mosse della sinistra: «Pronti a riprenderci il Pd»

Le mosse della sinistra: «Pronti a riprenderci il Pd»
di Nino Bertoloni Meli
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Lunedì 5 Dicembre 2016, 01:08 - Ultimo aggiornamento: 16:52

A Renzi adesso chiedono «un atto di generosità». In pratica, di fare un passo indietro, di lasciare il campo, la leadership, di dimettersi da segretario del Pd dopo aver lasciato la poltrona di palazzo Chigi. «La sua conduzione ha diviso il fronte del centrosinistra, per ricostruirlo ci vorrà qualcun altro, altrimenti al prossimo giro torna la destra», dicono a sinistra nella minoranza dem che ora aspira a tornare maggioranza del partito. E pazienza che, se la destra torna, ad allearsi in questa tornata referendaria sono stati proprio quelli della sinistra del Pd schierati per il No con Pier Luigi Bersani in testa, ma tant’è, ora bisogna guardare alle prossime mosse.

La vistosa vittoria del No ha più che ringalluzzito una minoranza dem che negli ultimi due anni ha solo ingoiato rospi, ha perso tutti gli appuntamenti, non è riuscita a scalfire la leadership renziana, fino al punto da beccarsi le contumelie di Massimo D’Alema, che invece aveva deciso il “frontale” e mal sopportava le mediazioni bersaniane volte a tenere un piede dentro e uno fuori. D’Alema, nella notte, è intervenuto sulle elezioni: «Il Capo dello Stato darà l’incarico a una personalità che lavorerà a misurare le disponibilità per un governo necessario al paese. Credo ci sia una maggioranza in Parlamento che non intenda favorire lo scioglimento irresponsabile delle Camere. Votare ora sarebbe irresponsabile anche perché la Consulta deve pronunciarsi sull’Italicum. Mi auguro che l’assunzione di responsabilità possa essere la più ampia possibile». 

L’ULTIMA MOSSA
A Renzi adesso toccherà occuparsi di quella creatura che si chiama Partito democratico. Dovrà trincerarsi al Nazareno e cercare di rimanerci, è questa l’unica leva che gli rimane se vuole ancora pesare sulla vita politica. Il Pd è l’unico versante dove l’attuale leader ha avuto una legittimazione attraverso le primarie, mentre al governo c’è arrivato senza mandato popolare. Domani: è convocata la direzione, e là non è neanche escluso che Renzi annunci a sorpresa le dimissioni anche da leader, che sarebbero però dimissioni di battaglia, non di abbandono del campo. Al grido di “riprendiamoci il partito”, la minoranza ha preparato un piano di riconquista. Una controffensiva all’insegna della contro-rottamazione, dove l’unica cosa sulla quale i contendenti sono d’accordo è di anticipare il congresso del Pd (febbraio, marzo). Sul resto, è scontro su tutto. Il piano è articolato in più mosse, tutte volte a riconquistare la leadership persa alle ultime primarie, quando la sinistra interna si attestò su un misero 18 per cento. La prima mossa prevede l’abbandono delle armi da parte dell’attuale leader, il citato “atto di generosità” che in pochi, per non dire nessuno, credono che Renzi farà.

La mossa successiva prevede la battaglia per eleggere il prossimo segretario non più con le primarie, ma solo attraverso gli iscritti, tornare alla tradizione del partito dei militanti che si chiude in se stesso e non affida più la leadership agli elettori, ma solo ai tesserati. Se, come probabile, si torna al proporzionale, non ha senso avere un leader legittimato da una platea molto più vasta degli iscritti, così come sarebbe un controsenso, insistere sul doppio incarico di segretario e candidato premier, formula valida in regime di maggioritario e di partito a vocazione maggioritaria.

SCACCO MATTO
Doppia offensiva, dunque: il partito non ha più bisogno di schierare il suo leader per palazzo Chigi, lì chissà chi ci andrà, ove mai si vincessero le elezioni, se ne parlerà nelle trattative in Parlamento. Su questo punto la minoranza punterà anche a dividere la maggioranza renziana, che ha i numeri per respingere l’offensiva volta a modificare lo statuto, ma dopo una sconfitta elettorale riuscirà a reggere? Dario Franceschini ha chiesto giorni fa una riunione tra i capi della maggioranza per vedere il da farsi, ma è stata aggirata e derubricata. Da quel che si intuisce, se le primarie resteranno, quasi sicuramente le componenti (giovani turchi, franceschiniani, cuperliani) chiederanno di andarci ognuno con proprie liste e non con un listone, in modo che nella futura possibile maggioranza interna Renzi e renziani siano e appaiano uno dei gruppi di maggioranza, e non la maggioranza. Alla minoranza toccherà avanzare l’anti-Renzi. «Ho in serbo un nome in grado di scaldare i cuori a sinistra e di vincere il congresso», ha annunciato D’Alema. Per alcuni è solo un bluff, per qualcun altro il nome sarebbe Bianca Berlinguer, finora mostratasi assai restia a cimentarsi in imprese del genere. Si vedrà. 

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