Insulti e veleni sul referendum: Voto estero, il No minaccia ricorso

Insulti e veleni sul referendum: Voto estero, il No minaccia ricorso
di Mario Stanganelli
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Mercoledì 23 Novembre 2016, 08:00 - Ultimo aggiornamento: 28 Novembre, 17:47

Il fronte del No, a meno di due settimane dal voto, non appare del tutto compatto, come mostrano i dubbi di Berlusconi che dello stesso schieramento dovrebbe essere uno dei pilastri. Dubbi che sembrano serpeggiare anche nei confronti dell'ultima iniziativa del Comitato del No che ha annunciato un ricorso se il Sì dovesse vincere con il concorso determinante del voto all'estero. In questo caso ha detto il vicepresidente del Comitato Alfiero Grandi, «ci sarebbero i presupposti per il ricorso, dal momento che nella legge per il voto degli italiani all'estero ci sono principi fondamentali che riteniamo violati». Prima ancora che contro l'iniziativa del ricorso si scatenasse la reazione dei sostenitori del Sì, era lo stesso Massimo D'Alema a prendere le distanze: «Io non l'avrei fatto. I ricorsi li fa chi perde e io non credo che il No perderà».

SINGOLARE SINTONIA
Posizione, questa dell'ex segretario pd, che per una volta lo trova in sintonia con Matteo Renzi. Il quale ha osservato: «Un ricorso non si nega a nessuno, ma per il momento, i ricorsi li hanno persi tutti». E infatti ieri sera è arrivata la notizia che il Tar del Lazio ha dichiarato inammissibile «per difetto assoluto di giurisdizione» il ricorso dell'ex presidente della Consulta, Valerio Onida, conto il testo del referendum sottoposto agli elettori.
Si diceva di Berlusconi, sulla carta uno degli alfieri del fronte del No, che però interrogato da Bruno Vespa a Porta a Porta sulla sua scelta di bocciare il referendum, dà una prima risposta spiazzante: «Sa che me lo domando anch'io...».

Poi cerca il recupero: «Ho deciso di votare No per una serie di ragioni molto serie: è una riforma inefficace, non riduce i costi della politica e, soprattutto, può aprire alla possibilità di una deriva autoritaria nel nostro Paese». Ma la vera ragione dei suoi dubbi l'ex Cavaliere la esterna solo quando viene messo di fronte al fatto che i manager delle sue aziende si sono pronunciati per il Sì: «Hanno paura della possibile ritorsione di chi ha il potere. Ho dovuto accettare questo fatto essendoci dentro le aziende i risparmiatori e devo prendere atto che le dichiarazioni di Confalonieri sono attribuibili alla difesa di questi risparmiatori. Se il governo dovesse vincere ci sarebbero conseguenze negative per le nostre aziende e per le altre». Questa l'ammissione dell'ex premier che, «per la sua gravità», gli costerà una risentita reprimenda da un compagno di cordata nella campagna referendaria come il leghista Roberto Calderoli.

Ciononostante Berlusconi sembra avere di che preoccuparsi per il dopo 4 dicembre, perché - afferma - «anche se vince il no il governo non cade. Renzi ha una maggioranza che non convince, ma che c'è». E questo alla luce che il Cavaliere è convinto che non si andrà al voto anticipato: «Tutti i parlamentari - osserva - sono attaccati alla sedia e non permetteranno che le Camere si sciolgano». Prospettiva, questa che, sia pure da diverso punto di vista, appare coincidere con quella del ministro dell'Interno Angelino Alfano che, rivolto al fronte del No dice: «Possono stare tranquilli, anche in caso di una loro vittoria il governo non cadrà e andrà avanti. Non sarà certo il referendum a fermare l'azione dell'esecutivo. Il suo contenuto riguarda la riforma e non la vita del governo».

TONI ACCESI
Intanto, anche nella giornata di ieri, la campagna si è distinta per i toni decisamente sopra le righe. Oltre all'ardita similitudine della «scrofa ferita» immaginata da Beppe Grillo, Renato Brunetta ha rinfacciato a Renzi la responsabilità di «aver creato il clima avvelenato» della campagna e ha definito «aberrante» l'appoggio dato al Sì da Giorgio Napolitano in televisione. Renzi replica a tutti affermando che gli avversari del Sì «vogliono buttarla in rissa. Ma noi faremo la campagna referendaria con il sorriso sulle labbra». Ma non manca, da parte del premier, un preoccupato avvertimento: «Con il no ci mangiamo il futuro dei nostri figli. Ci sono dodici giorni per decidere», con la sottolineatura che, «se dite no, lo dite per sempre».

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