Raggi e l'occasione perduta: «Non sfonda nella prova tv»

Raggi e l'occasione perduta: «Non sfonda nella prova tv»
di Mario Ajello
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Giovedì 2 Giugno 2016, 09:53 - Ultimo aggiornamento: 3 Giugno, 23:10

Con un format così, è difficile stabilire in assoluto chi ha vinto e chi ha perso la partita televisiva a cinque che s'è svolta su Sky tra i candidati a sindaco di Roma. «Certamente - osserva Edoardo Novelli professore di Comunicazione politica all'università di Roma Tre e autore in questi giorni della «Democrazia del talk show» (Carocci) - ha vinto il format che è stato scelto. E che ha prodotto una divertente macchina spettacolare. Nella quale il giornalismo batte la politica e la costringe a evitare la chiacchiera e a far emergere i contenuti». Chi ha vinto e chi ha perso? «Non farei classifiche. Mi basta notare, intanto, che Virginia Raggi, la meno conosciuta tra tutti e quindi la più attesa, non è riuscita a scogliere i dubbi che la riguardano. Ovvero se ha le competenze per governare la Capitale; se ha il carattere giusto per farlo; e se il suo partito la lascerà agire. Questi dubbi non si sono sciolti, anche se non era questo il set giusto per poterli risolvere».

X FACTOR
Se Novelli non azzarda graduatorie di merito tra i candidati, convinto che tra la politica e la tivvù abbia trionfato quest'ultima inscenando un «efficacissimo gioco circense nello studio di X Factor», lo studioso di flussi elettorali Antonio Noto, di Ipr Marketing, propone questa gerarchia: «Marchini e Meloni primi a pari merito. Inseguiti da Raggi e Giachetti». «Io credo che l'usato sicuro di Giachetti sia stato il più efficace», sostiene Alessandro Amadori, di Coesis Research, «mentre la Raggi sconta l'inesperienza amministrativa. Si è avvertita molto questa lacuna. Non sono bastate le cifre che ogni tanto tirava fuori per dare spessore alle sue parole. S'è vista in lei la grinta e la freschezza, ma non la sedimentazione di contenuti forti. E in questa fase in cui Roma necessita di sostanza e di capacità di ispirare fiducia, dopo il grande disastro, la penuria di questi ingredienti potrebbe essere penalizzata nelle urne nonostante il vento di anti-politica che sta soffiando». I gradimenti maggiori, da parte di chi ha seguito da casa la trasmissione e ha espresso il suo parere in diretta a Sky, sono andati alla Raggi. Ma si sa come funzionano queste cose. E lo stesso Alessandro Di Battista, principlae sponsor grillino della Raggi, smorza gli eventuali entusiasmi: «Questo sondaggio, come tanti altri del genere, non vale. Non bisogna fidarsi e occorre mettersi sotto a lavorare». Nel day after, naturalmente, si sentono tutti trionfatori del match. Compreso Stefano Fassina che pure è apparso, come dice il sondaggista Nicola Piepoli, «fuori gioco». Il massmediologo Klaus Davi assegna la palma dell'empatia a Giorgia Meloni. E trova Marchini «formalmente perfetto, ma poco coinvolgente». Sui contenuti chi l'ha convinta di più? «Primo Giachetti, poi Meloni e Raggi». Ma la Raggi avrebbe perso punti nel finale. «Ha sbagliato - incalza Davi, che di campagne elettorali anche locali ne ha curate molte - nell'appello conclusivo. Ha mostrato il tipico difetto della vecchia sinistra ai tempi di Berlusconi. Quello dell'eccesso identitario e dell'auto-referenzialità della purezza. In sede di appello finale non bisogna dire, come ha fatto lei: Siamo i migliori e i più onesti, quindi votateci!. Occorre dire invece: Queste sono le nostre proposte, e sulla base di queste potete votarci». La Raggi non ha fatto così? «Mi è sembrato - spiega Davi - un messaggino da baci Perugina. Eppure, aveva cominciato benino». Novelli fa un ragionamento simile a questo e lo sintetizza così: «Non ha fatto grandi scivoloni la candidata grillina. Ma non ha trasmesso il messaggio fondamentale per cui uno, ascoltandolo, dice: mi fido di lei. All'opposto, Marchini, molto conscio di sé, è stato quello che più di tutti ha cercato di rimarcare che sul Comune di Roma ha molta più esperienza degli altri».
 
LO SQUALO
E' purtroppo mancato, però, il botta e risposta diretto, il corpo a corpo tra lottatori, che è quello che consente meglio di testare le doti non solo di carattere ma anche di forza espressiva e di ragionamento dei candidati. Alcuni di loro infatti lamentano la rigidità del format. Anche se quelle regole hanno evitato l'effetto pollaio da tipico, insopportabile, talk show e sono riuscite in qualche maniera a mettere in evidenza gli sforzi estremi, come quelli di Giachetti e Meloni, per smarcarsi dai trascorsi peggiori della propria parte politica. Piepoli tira fuori un nome a sorpresa. «Quello dello Squalo, detto Sbardella», così lo chiama. E che c'entra l'antico animale politico della Dc romana? «Lo Squalo - osserva Piepoli - mi diceva: guarda che uno ha vinto le elezioni un minuto dopo che ha portato l'ultima vecchietta a votare nell'ultimo minuto utile prima che chiudano le urne. La Raggi invece s'è presentata a Sky come se tutto ciò l'avesse già fatto. E' andato meglio di lei il grillino candidato a Milano, Corrado: perché ha trasmesso l'utopia, il sogno. Negli occhi della Raggi si leggeva invece una sicumera da prima della classe, che però non ha ancora dimostrato niente». Ma come dice il professor Novelli - che prima di «La democrazia del talk show» ha scritto svariati altri saggi del genere - va sempre tenuto conto che uno spettacolo così è una sorta di giochi senza frontiere della politica, con tanto di arbitro e di bonus». Vero, naturalmente. A patto di non credere che la tivvù sia solo tivvù.