Pd, leader sotto tiro: non argina più M5S. Il segretario pronto a rottamare i suoi

Pd, leader sotto tiro: non argina più M5S. Il segretario pronto a rottamare i suoi
di Nino Bertoloni Meli
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Martedì 21 Giugno 2016, 08:21 - Ultimo aggiornamento: 22 Giugno, 08:01

ROMA Arriva la rottamazione bis. Una seconda ondata di demolizioni destinate questa volta a colpire alcuni esponenti del renzismo. La decisione Matteo Renzi l'ha maturata in queste ore post sberla elettorale e riguarderebbe dirigenti come Ernesto Carbone, autore dell'ormai famoso ciaone diventato virale sul web e nel Palazzo (definito «energumeno» da D'Alema); e la vicesegretaria Debora Serracchiani, che Renzi comunque stima, ma che è reduce da sconfitta nel suo Friuli (Trieste e Pordenone), «cominci lei a lasciare il doppio incarico», hanno puntato il dito anche dalla minoranza. Renzi non ci sta a passare da rottamatore a rottamando.

LE MOSSE
Di pari passo, Renzi intende mettere mano alla nuova segreteria, non più organismo che passa alla cronaca perché si riunisce all'alba, ma luogo politico di discussione e di indirizzo. Si fanno i nomi di Nicola Zingaretti, di Maurizio Martina, di Vasco Errani (con meno conferme) oltre ai fedelissimi Lotti e Guerini più altri. In crescita viene segnalato Martina, attuale ministro dell'Agricoltura, che potrebbe lasciare l'incarico governativo e, come ai vecchi tempi del Pci, essere investito dell'incarico di vice unico con delega al partito, in pratica il vero coordinatore del Pd che si occupa a tempo pieno del partito, mentre Renzi rimane premier e segretario, ma non si occupa direttamente della gestione. Martina è un ex bersaniano, ha caldeggiato la scelta di Sala a Milano, ha riportato l'unico vero, importante risultato da poter esibire di questa tornata, sicché pochi si stupirebbero di una sua ascesa.

I PROBLEMI
Ma il vero problema Renzi ce l'ha nella sua maggioranza, dove Fassino, Franceschini e i giovani turchi appaiono in pre-fibrillazione, sia per la gestione del referendum, sia per gli esiti elettorali: Roma e Savona. C'è poi Beppe Fioroni, sempre dela maggioranza, che pone il problema politico di «superare lo splendido isolamento che porta alla sconfitta». Come? «Cambiando Italicum».

LA MINORANZA
E la minoranza? E' sul piede di guerra. «Ha perso Renzi. Punto». Un po' abbacchiato per la sconfitta nella sua Crotone, Nico Stumpo, coriaceo bersaniano, ha riacquistato la verve dei tempi migliori. E la indirizza tutta ai piani alti di palazzo Chigi. E' lungo il j'accuse che la minoranza del Pd muove nei confronti di Matteo Renzi, anche se i linguaggi sono diversi così come le posizioni. Ma tant'è. L'accusa più forte è questa: «Renzi è stato scelto come capo del governo anche, se non soprattutto, perché sembrava in grado di arginare il grillismo. Da questa tornata elettorale mi pare che stia avvenendo l'esatto contrario, dove andiamo al ballottaggio con il M5S perdiamo ovunque».

La minoranza chiederà le dimissioni del segretario? «A questo punto il problema non è neanche più questo, il problema è cambiare verso al renzismo», spiega Stumpo: «Abbiamo archiviato il centrosinistra a favore della vocazione maggioritaria, ma i numeri e le condizioni politiche dicono che del centrosinistra non si può fare a meno, pena la sconfitta». Per il 24 è convocata la direzione, si annuncia l'ennesima resa dei conti, e la minoranza sta preparando i muscoli e scaldando i motori, obiettivo: il referendum. Nel senso che ancora non è stato deciso come, e soprattutto se, appoggiarlo o se ritrarsi sull'Aventino o, addirittura, schierarsi per il no. «La direzione del 24 non è che può trasformarsi nel lancio dei comitati per il sì, lì bisognerà discutere del risultato elettorale», l'avvertimento.

LE POSIZIONI
La minoranza ha deciso di autoconvocarsi al Nazareno il giorno prima della direzione, lì verranno decisi linea e atteggiamento, anche perché al momento entrambi appaiono differenti a seconda di chi interviene. Se il bersaniano Davide Zoggia chiede nudo e crudo le dimissioni di Renzi da segretario, non così Gianni Cuperlo che riprende una sua antica posizione e avverte: «Il problema non sono le dimissioni e neanche il doppio incarico». Quanto a Roberto Speranza, definisce il risultato elettorale «difficile da minimizzare», «un segnale chiaro al governo e al Pd per l'azione che sta svolgendo». Non sembra, al momento, una minoranza che si attesti sulla linea maoista alla D'Alema di sparare sul quartier generale per provocarne la caduta, anche perché l'ex leader dei Ds è uscito malconcio dal ballottaggio nella sua Gallipoli, dove il 30enne Stefano Minerva, giovane candidato dem, ha prevalso su Flavio Fasano, dalemiano da sempre.