Guerini: l'Italicum non lo cambiamo e a ottobre non si vota su Matteo

Guerini: l'Italicum non lo cambiamo e a ottobre non si vota su Matteo
di Marco Conti
4 Minuti di Lettura
Martedì 21 Giugno 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 13:38
Onorevole Guerini, Renzi sostiene che il Pd ha perso perché si è cambiato poco. Dove si comincia?
«La domanda di cambiamento ha caratterizzato la politica degli ultimi anni. Nel 2013 si manifestò in maniera impetuosa con il voto al M5S e nel 2014 la interpretammo noi in maniera efficace e ci venne consegnato il compito di renderla possibile attraverso un programma di riforme ambiziose per l’Italia che stiamo realizzando».

Però non è bastato?
«Occorre fare i conti con un vento che non soffia solo in Italia e che a volte indirizza quel cambiamento verso forze antisistema».

Quindi?
«In alcune fasi bene, in altre forse non a sufficienza. Dobbiamo spingere con ancor più forte determinazione sulla strada del cambiamento e dell’innovazione. Sia nel partito che nei rapporti con il Paese».

Si torna a rottamare persone?
«Più che le persone credo sia un problema di iniziativa politica. Interpretare con più coraggio la domanda di cambiamento e mostrare che non siamo solo depositari di una speranza, ma che sappiamo renderla concreta».

Da vicesegretario del Pd pensa sia possibile cambiare con un partito in preda a logiche vecchie e di corrente?
«Il Pd ha una comunità di uomini e di donne presenti su tutto il territorio nazionale che lavora con passione, idealità e svolgendo un’attività di volontariato generosissima. Respingo una lettura tutta negativa del partito. Ci sono situazioni dove si deve lavorare seriamente in modo che l’innovazione che abbiamo prodotto sortisca effetti anche sui territori intervenendo con coraggio laddove è necessario. E questa è una questione che riguarda tutto il partito, anche la minoranza».

Niente lanciafiamme?
«Di natura sono un pompiere e quindi preferisco la pompa dell’acqua. Metafore a parte. Laddove è necessario si interverrà. Lo abbiamo già fatto in alcune realtà anche con scelte dure e commissariamenti».
La sinistra interna chiede a Renzi di lasciare la segreteria. Ne parlerete alla direzione di venerdì?
«Il tema non è nuovo per il Pd. Riecheggia sin dal momento della sua fondazione e nel dicembre del 2013, nel congresso che ebbe esiti abbastanza precisi, il tema venne riaffrontato. Dopodiché è una questione sulla quale si può continuare a discutere, ma penso che il doppio incarico sia giusto perché chi guida il Paese deve continuare ad essere anche leader del partito».

Ma ne parlerete venerdì?
«Ma questo non è il tema. Rischiamo di disperdere la discussione su un tema irrilevante quando invece occorre lavorare sul partito in modo da rendere la nostra comunità ancor più coerente alla missione che si è assunta in questa fase storica del Paese. Ovvero di essere il motore del cambiamento attraverso una serie di riforme importanti per l’Italia e apprezzate all’estero. Il lavoro della comunità del Pd che sorregge il cambiamento è fondamentale e aiuta la leadership».

Dopo i risultati alle amministrative il “sì” al referendum di ottobre è in salita?
«Alcune indicazioni utili per il futuro ci sono. Nelle scelte prevalgono le specificità territoriali, ma in vista del referendum di ottobre penso che occorra evitare personalizzazioni e spiegare agli italiani il merito della riforma. Che cosa significa per la credibilità del nostro Paese avere un sistema istituzionale più efficiente e un sistema legislativo più snello. Se spieghiamo che l’alternativa in campo è lasciare tutto come prima e come sempre, penso che possiamo fare campagna utile per la vittoria del “sì”».

Quindi ha sbagliato Renzi a personalizzare?
«Renzi ha detto che questo governo nasce per fare le riforme costituzionali e se dovessero essere respinte ne trarrà le conseguenze. Questa è la normalità, ma non vuol dire che è un referendum su Renzi. Sbaglia chi vuol trasformare il referendum come occasione per dare la spallata o in funzione anti-Pd».

Se passa però vince Renzi?
«No, vince il Paese e coloro che hanno rifiutato lo status quo. Non ci sono due progetti alternativi di riforma. O si cambia o si preferisce l’immobilismo. E noi come Pd dobbiamo spiegare la riforma».

Il Pd sarà compatto o sono ammesse defezioni dal fronte del “sì”?
«Non affrontiamo questo passaggio importante minacciando sanzioni disciplinari. Penso che tutto il Pd sosterrà la riforma costituzionale perché l’abbiamo voluta e votata insieme per ben sei volte e perché è iscritta nel dna e nelle tesi del Pd e, prima ancora, dell’Ulivo. Giudico quindi naturale che tutto il Pd sostenga la riforma e sarei sorpreso se avvenisse il contrario».
 
E’ possibile lo scambio tra promessa di riforma dell’Italicum e sostegno al referendum costituzionale?
«No perché sarebbe come impoverire le motivazioni a sostegno del referendum. Si approva la riforma perché la si condivide non per altro. Inoltre, questa è una legge elettorale che funziona perché garantisce governabilità e ai cittadini di scegliere. Riduce la frammentazione del quadro politico. Sono tutte cose che abbiamo sempre promesso agli italiani».

C’è chi sostiene che va cambiata perché al ballottaggio potrebbe far vincere il M5S?
«Non è la legge elettorale perfetta, ma non si può pensare di cambiarla solo a seguito di un passaggio elettorale amministrativo, seppur importante. Non si fa una legge elettorale per favorire o sfavorire questo o quel partito. E’ stato già fatto in passato con il Porcellum, serve una legge elettorale che serva al Paese. Poi, se si aprirà un dibattito, ci confronteremo senza chiusure ma sulla base di queste valutazioni».
© RIPRODUZIONE RISERVATA