Elezioni, Mattarella ora aspetta le Camere: prime offerte sui presidenti

Elezioni, Mattarella ora aspetta le Camere: prime offerte sui presidenti
di Marco Conti
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Martedì 6 Marzo 2018, 08:06 - Ultimo aggiornamento: 19 Marzo, 15:10

«Il presidente attende le valutazioni dei partiti». Al Quirinale la frase da ieri è divenuta il mantra destinato a durare fino alle consultazioni del capo dello Stato con i rappresentanti dei partiti. Occorrerà attendere l'elezione dei presidenti delle Camere - prevista per il 23 marzo - prima di capire in che modo e con quali possibili soluzioni i leader delle forze politiche si presenteranno da Sergio Mattarella. Ancora un mese, o quasi, di guerra dei nervi dentro e tra i partiti. Ovviamente le più esposte sono le leadership dei partiti usciti sconfitti dal turno elettorale, ma non solo.



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Matteo Renzi ieri si è dimesso ma ha blindato il Pd da una possibile intesa con i 5S. «In effetti - ammette il segretario del Pd parlando con i suoi - c'era chi si era già portato avanti con il lavoro. Ma se vuole l'accordo con i grillini lo deve dire chiaramente in direzione o in assemblea». Su una possibile frantumazione del Pd puntano i grillini che da prima del voto vanno a caccia di quel numero di parlamentari che permettano a Luigi Di Maio di presentarsi al Quirinale avendo in tasca i numeri per mettere in piedi una maggioranza. Per presunte affinità e contiguità degli elettorati, la caccia si è concentrata sul Pd e non è detto che Renzi riesca a presentarsi da Mattarella con il partito unito.

LA CARTA
Soprattutto non è detto che il partito regga nel momento della votazione dei presidenti delle Camere. Ieri al Nazareno si spiegava la sortita di Luigi Zanda, contro le dimissioni postdatate di Renzi, con l'interesse del capogruppo Dem per la poltrona di presidente del Senato. Un ruolo, quello di presidente di palazzo Madama, che potrebbe risultare chiave qualora ilColle dovesse decidere di giocarsi la carta del presidente del Senato per un governo di scopo.

In buona sostanza - secondo qualcuno - i grillini potrebbero ripetere, a parti invertite, lo stesso schema che nel 2013 tentò Bersani. Ovvero giocarsi le presidenze delle Camere per aprire un dialogo con il Pd. In questo caso ai Dem andrebbe palazzo Madama e al M5S - che proporrebbe Carla Ruocco o Roberto Fico - la Camera. Della partita, oltre a un pezzo del Pd, sarebbero anche i radicali di +Europa con Emma Bonino nel ruolo di garanzia che gli verrebbe attribuito dalla presidenza del Senato.

Tensioni anche nel centrodestra. Ieri Matteo Salvini si è recato ad Arcore essendosi poco prima presentato davanti alle telecamere come candidato premier di «un centrodestra unito», ma dove la golden share è passata da FI alla Lega. Sulla voglia di Salvini di fare veramente il premier di un governo di centrodestra non tutti scommettono. Il leader del Carroccio ha lastricato la campagna elettorale di troppe promesse confliggenti con quelle di FI e soprattutto mostra molto più interesse a consolidare la sua leadership nel centrodestra anche grazie alle molte sponde che ha dentro FI. Berlusconi cerca di resistere anche grazie ad una pattuglia di fedelissimi e tenta di impedire la nascita del temutissimo governo M5S senza dover cedere a Salvini la leadership del centrodestra. Non è detto che il Cavaliere riesca nell'impresa e che il gruppo parlamentare azzurro resti compatto. Nel Carroccio c'è chi da tempo ha aperto un cantiere con i pentastellati. Raccontano che al Senato il dialogo Lega-M5S sia iniziato da tempo, anche perché la Lega non ha un tetto al numero dei mandati e una parte dei grillini ritrova molte più affinità con la Lega che con il Pd. Una possibile maggioranza Lega, M5S e una cospicua parte di FI passerebbe per l'elezione alla presidenza del Senato o di un leghista (Roberto Calderoli) o di un azzurro (Paolo Romani). Senza grillini, al centrodestra mancherebbero una quarantina di voti alla Camera e 25 al Senato. Troppi per cercare responsabili al momento del voto.

LA SCALATA
Non meglio va per i grillini i quali sono convinti che Mattarella debba dare loro l'incarico.

La voglia di Luigi Di Maio di giocarsi sino in fondo tutte le sue carte per tentare la scalata a palazzo Chigi, è forse l'unica certezza di un puzzle difficile, la cui composizione richiederà tempi lunghi e tutta la tenacia del presidente della Repubblica che tenterà tutte le strade per evitare nuove elezioni. Il partito che si spacca per primo - e ieri il Pd ha mostrato già vistose crepe - permetterà la nascita di un governo che potrebbe anche partire con numeri ridotti, ma che strada facendo potrebbe irrobustirsi e alzare l'asticella delle ambizioni fino a tentare la strada della riscrittura della legge elettorale in modo da riportare il Paese al voto. Stretto tra la linea anti-intese con gli «estremisti» di Renzi e il timore di un ritorno alle urne che li coglierebbe in mezzo al guado, i Dem sono in difficoltà e privi di leadership alternativa a quella renziana. E tra le difficoltà ce ne è una non da poco. Ovvero l'equilibrio Nord-Sud che un governo a maggioranza pentastellata rischia di non garantire, visti i voti che i 5S prendono al Sud e le attese (leggi reddito di cittadinanza), generate dalle promesse grilline. Ritrovarsi con un governo a vocazione assistenzialista rischia infatti di riaccendere gli animi del Nord ma stavolta in versione catalana.

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