Olimpiadi, dall'Aeroporto alla via Olimpica la preziosa eredità di Roma 60

Olimpiadi, dall'Aeroporto alla via Olimpica la preziosa eredità di Roma 60
di Simone Canettieri
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Giovedì 9 Giugno 2016, 08:50 - Ultimo aggiornamento: 17:31
E' come se la corsa scalza e anarchica di Abebe Bikila non si fosse fermata. E continuasse ancora, dopo l'Arco di Costantino, su e giù per la via Olimpica. O come se le colombe, che accompagnarono candide Livio Berruti verso la medaglia d'oro nei 200, facessero tuttora compagnia agli aerei che si danno il cambio all'aeroporto di Fiumicino. E poi i pugni di un giovane Cassius Clay, che rimbombano adesso nel palazzo di Nervi all'Eur. Eccole, le olimpiadi del 60 a Roma. Una formula magica in grado di unire imprese sportive a sostanza. «Facce» e «luoghi» che hanno cambiato in meglio la vita dei romani. Il lascito, cioè, della edizione XVII dei Giochi: trasformazioni urbanistiche e infrastrutturali, condite dal giubileo dello sport.

LA SCOSSA
«La città uscì dalla depressione della Guerra, si aprì al mondo, sprovincializzandosi: si avvicinarono allo sport nuove fette di società, si concessero pausa dal lavoro durante le finali», ricorda Sergio Zavoli, uno dei radiocronisti che portò le olimpiadi nelle case degli italiani facendo vivere, per la prima volta, a milioni di persone la «contemporeneità» delle gare.Non solo storie e medaglie, ma soprattutto «legacy», per usare un termine contemporaneo, cioè i benefici lasciati alla città. Un'opportunità che si ripropone con la candidatura di Roma 2024, e che non va persa. Proprio pensando al 60. Prima di tutto gli impianti: l'Olimpico venne ristrutturato e ampliato con lo stadio del nuoto, intervenendo sul Foro Italico nato nel Ventennio fascista. Per collegare il «teatro dei sogni» alla città si costruì l'Olimpica, l'arteria che unisce Roma Nord all'Eur, passando per quella che i romani chiamano «Valle dell'inferno», tra l'apertura alle auto (molto poche allora) del Muro Torto (con i sottopassi) e il senso unico sul Lungotevere. Visto che la città, e il Paese, voleva sognare si guardò anche al cielo, con lo scalo di Fiumicino: il debuttò fu esclusiva dei charter, i voli di linea arriveranno dopo qualche mese, a fiaccola spenta e già ripartita. E' una Capitale che balla e vive, quella del boom, anche sotto terra, come dimostrerà la trasformazione delle ferrovia in metro B. Il primo treno della metropolitana - in servizio tra Eur e Termini - partì il 9 febbraio 1955 con il presidente della Repubblica Luigi Einaudi a bordo. Ma c'è anche un lascito urbanistico che è rimasto indelebile: è il quadrante della zona Flaminio. Dove tra palazzetto dello sport, stadio Flaminio (ora infestato dalle erbacce) e villaggio olimpico le teste dei migliori dell'architettura riescono a ricucire una zona degradata e piena di baracche. Sembrano disegnarla con il compasso.
 
IL POOL
Pier Luigi Nervi pensa agli impianti sportivi, mentre Libera, Moretti, Monaco, Luccichenti e Cafiero si occupano della casa degli atleti e delle infrastrutture necessarie (Corso Francia). Il risultato è un quartiere gioiello che adesso è il fulcro della vita culturale, tra Auditorium e Maxi della Capitale. E' proprio il villaggio, con le sue case da due e cinque piani, immerse nel verde a dare una connotazione originale e unica a questa zona di Roma. E non sarà l'unico caso. Lo spirito olimpico cambierà anche l'Eur, che Mussolini aveva immaginato come il quartiere dell'Esposizione universale. Ecco un altro palazzetto di Nervi, ma anche il laghetto artificiale progettato da Marcello Piacentini nel 1938 e poi il Fungo, inaugurato invece nel 1957, due anni dopo il via libera del Cio, come riserva idrica. «Fu un grande successo per l'Italia, per Roma, per i giovani, se ne discuteva nelle scuole - ricorda ancora Sergio Zavoli - si creò una situazione di condivisione con il resto del mondo, partecipando da protagonisti e innovando anche il gusto dello sport educato alla lealtà e alla conoscenza tra i popoli». Dunque mito e sostanza: la sfida che Roma questa volta non può permettersi di perdere. Né per paura, né per benaltrismo.