Rispettato il voto/ Le ingerenze respinte e l’autonomia del Paese

di Marco Gervasoni
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Giovedì 24 Maggio 2018, 00:03
L’incarico a Giuseppe Conte è l’esito più logico, giusto e legittimo dei risultati del voto del 4 marzo. Nei giorni precedenti, abbiamo invece assistito a numerosi interventi di giornali stranieri, esponenti politici, e persino di membri di governi di altri paesi, poco contenti di questa soluzione. Ora un conto sono i giudizi, sempre legittimi, ben diversi invece i tentativi di ingerenza, che non sono mancati. E in passato troppe volte ne abbiamo subite, ingerenze che hanno contributo a far cadere esecutivi e a formare governi tecnici, poco risolutivi per il paese: e che anzi, sono all’origine della piccola rivoluzione di questi mesi.

L’Italia non subirà un trattamento simile a quello della Grecia: ché anzi, quando Atene è stata sottoposta alle pressioni della Troika, l’Italia ha giustamente difeso. Queste invasioni di campo, tra l’altro, hanno rinsaldato anziché indebolirla, l’alleanza tra 5 stelle e Lega. Una soluzione diversa da quella dell’incarico a Conte sarebbe quindi stata giustamente percepita dagli italiani come un ripiegamento di fronte alle pressioni della Commissione europea, di altri governi o di poteri più o meno nascosti. Nonché un mancato rispetto della volontà popolare. Occorre quindi osservare quello che sta accadendo con una metodologia liberale, quindi empirica. Che valuta i fenomeni per quello che sono. Con realismo. 

Lo stesso realismo con il quale si è mosso Mattarella nel rispettare il risultato delle urne. Non v’è dubbio infatti che I 5 stelle e la Lega siano stati i vincitori delle elezioni, e non solo in termini numerici. Le due forze hanno proposto delle soluzioni, diverse, ma accomunate da alcuni tratti: la rottura rispetto alle misure del passato e, soprattutto, la fine di una sudditanza, culturale prima ancora che politica, a quello che si chiama «vincolo esterno»; i falchi della Ue - che non rappresentano lo spirito autentico dell’Europa – ma anche i governi di altri paesi . Senza voler sfasciare l’Europa, come ha ribadito ieri il premier incaricato: ma con il desiderio di una sua profonda riforma. Naturalmente, tutto questo va messo alla prova attendendo i risultati. Solo allora potremo dare un giudizio che non sia figlio di pregiudizi. 

Cinque stelle e Lega hanno intercettato quell’ondata che, partita dalla vittoria del referendum sulla Brexit nel Regno Unito, ha condotto Trump alla Casa Bianca e, nelle elezioni europee del prossimo anno, forse cambierà gli equilibri nell’Unione europea. Molti la chiamano ondata populista o sovranista: noi preferiamo vederla come il sussulto, o il ritorno, dell’interesse nazionale, troppo spesso negli ultimi anni sacrificato a logiche che potevano soddisfare alcune minoranze, ma non il bene comune dei popoli europei. Il 4 marzo ha prevalso anche da noi, per dirla con il saggista inglese David Goodhart, il popolo del «somewhere» contro il popolo dell’«anywhere», quelli che sono anche materialmente dipendenti dal proprio Paese rispetto alle élite globalizzate, che invece dall’interesse nazionale possono prescindere. Non ci sembra quindi che, con questo governo, l’Italia sia caduta succube del «sovranismo».

Semmai abbiamo evitato, quello sì, l’atteggiamento provincialista di accettare supinamente i condizionamenti provenienti da poteri esterni. La scelta di Mattarella appare saggia anche per questo, perché toglie a i 5 stelle e alla Lega ogni alibi: in particolare quello di accusare lobbies e poteri più o meno forti di non aver consentito loro di andare al governo. Nonché di aver rispettato il mandato popolare espresso nei confronti di due forze non alleate, anzi contrapposte alle elezioni del 4 marzo. Ma risultate entrambe premiate dagli elettori e soprattutto oggi in grado di esprimere una maggioranza parlamentare.

A questo punto, razionalmente e senza isterismi, bisognerà attendere al varco i protagonisti di questo “governo del cambiamento”. Conte, i suoi ministri, le forze politiche di una maggioranza piuttosto ristretta, dovranno essere giudicati per le loro misure, in grado di soddisfare almeno in parte la richiesta di novità provenienti dal corpo elettorale. Ma dovranno rispondere pure dei loro errori e dei loro fallimenti. Osserviamoli quindi senza condanne a priori ma senza concedere loro cambiali in bianco.
 
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