Unioni civili/No, è materia da referendum

di Marco Gervasoni
3 Minuti di Lettura
Giovedì 12 Maggio 2016, 00:05
La legge sulle unioni civili, detta Cirinnà, è parte del nostro ordinamento (anche se manca ancora la firma del Quirinale), colma un vuoto giuridico ma è difficile dire, come ha fatto il presidente del Consiglio, che «oggi è un giorno di festa». E sarebbe sbagliato bollare tutti i contrari o i perplessi come “oscurantisti” , “retrogradi” e addirittura “omofobi”. C’è una parte d’Italia che ha vissuto e presumibilmente vivrà male questa decisione e le sue ragioni devono essere ascoltate. In prima fila ovviamente il Vaticano e il mondo cattolico.


Il mondo cattolico in tutte le sue componenti associative e istituzionali, come la Cei. Per loro la legge, benché parli di “formazione sociale”, non è sostanzialmente molto diversa da un matrimonio che, per la Chiesa, e naturalmente per questo Papa in genere così amato dalla sinistra, è solo tra un uomo e una donna. Oggi legge poi non è solo un insieme di norme, è pure un costume che l’accompagna e la sostanzia nella sfera pubblica. Da parte delle organizzazioni del mondo Lgbt, già prima che la Cirinnà venisse approvata, si sono organizzate cerimonie, officiate da diversi sindaci, identiche a quelle di un matrimonio. È questo probamente quello che voleva dire Marchini: non un invito a violare una legge ma il rifiuto del tutto legittimo di interpretarla come se introducesse i matrimoni omosessuali. Si teme insomma il cosiddetto “piano inclinato”, cioè che le unioni civili aprano culturalmente e non solo a una sua modifica e portino direttamente alle nozze gay, come in Spagna o in Francia.
 
Anche in chi è laico e non credente, però, la preoccupazione di minare le basi dell’istituto familiare dovrebbe essere seriamente presente. Infine il mondo cattolico, e la Cei in particolare, contestano lo strappo della fiducia, non solo una procedura tecnica che chiude all’introduzione di migliorie, ma pure un gesto politico di rifiuto nei confronti delle loro ragioni. 
La seconda perplessità, che accomuna cattolici e molti laici, riguarda la possibilità di adozione da parte della coppia “formazione sociale”. Se la legge ha stralciato questa voce non ha colmato un vuoto giuridico che inevitabilmente, come accaduto in tempi recenti, sarà riempito dalle sentenze dei magistrati. Molti, pure nel partito di governo, lamentano ormai questo protagonismo dei giudici, che in molti casi tendono a sostituirsi al legislatore - e alcune toghe persino ne teorizzano il “diritto dovere”. Ebbene, per cercare di rimettere nei giusti binari il rapporto tra politica e magistratura non sarebbe meglio evitare questi vuoti, che potrebbero permettere ad alcuni magistrati - c’è da augurarsi rari - di ergersi a difensori dei “diritti negati”, in questo caso delle coppie omosessuali? 
Una terza perplessità è invece propria della cultura liberale e riguarda tanto il peso che la nuova legge avrà sugli equilibri e sui conti del Welfare quanto le forme di controllo previste. Come ha scritto ieri su questo colonne Oscar Giannino, invece che ripensare l’istituto della pensione di reversibilità la legge lo estende alle nuove coppie, con un aggravio sui conti. E’ stato calcolato? Ne è stata predisposta una proiezione sulla lunga durata? Infine, per un liberale il silenzio sulle modalità di accertamento dell’”effettivo legame di coppia” è un po’ inquietante. Pensare ad una sorta di controllo dello Stato sugli affari di letto fa sorridere, ma anche un po’ preoccupare. 
Queste e numerose altre incongruità della Cirinnà non solo rendono legittime le opzioni contrarie, ma conducono ad una previsione e a un auspicio. La previsione è che si dovrà in breve tempo rimettere mano a una nuova legge. L'auspicio è che gli italiani possano pronunciarsi sulla materia, magari con un referendum. Se di consultazioni ne sono state organizzate tante, e molte inutili, questa non lo sarebbe affatto.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA