Manovra, Tria tentato dallo strappo: ipotesi dimissioni dopo l'ok al Def

Manovra, Tria tentato dallo strappo: ipotesi dimissioni dopo l'ok al Def
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Venerdì 28 Settembre 2018, 21:57 - Ultimo aggiornamento: 29 Settembre, 11:58
Il giorno dopo il «ce l'abbiamo fatta» lanciato da Luigi Di Maio sul balcone di Palazzo Chigi è un giorno di lunghi silenzi e ripetute rassicurazioni. I primi arrivano dal grande «sconfitto» della manovra di M5S-Lega, Giovanni Tria. Le seconde sono scandite dal premier Giuseppe Conte e dai due vicepremier, pronti a spalare i via ogni dubbio sulla stabilità dell'esecutivo giallo-verde. Ma il titolare del Mef, irato per quanto accaduto ieri, e al lavoro nel suo ministero su una manovra non sua, non avrebbe escluso del tutto - si apprende in ambienti parlamentari - il grande strappo dopo il varo della legge di bilancio.

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Se il rischio dimissioni sembra lontano da qui fino all'ok delle Camere alla manovra, tutto, o quasi, potrebbe accadere già a partire dal giorno successivo. Di certo, quanto accaduto ieri stabilisce un «prima e un dopo» nell'era giallo-verde. M5S-Lega, con una manovra da 40 miliardi e un deficit/Pil del 2,4% scelgono di andare allo scontro aperto con l'Ue e di camminare sui carboni ardenti dei mercati. Ma, già nel corso del vertice di martedì sera con i ministri M5S, Di Maio aveva fatto capire ai suoi di essere pronto a tutto per questo, anche alla crisi di governo. Troppo importante per la sua leadership e per il M5S era inserire il reddito di cittadinanza, misura con la quale i 5 Stelle tornano a blindare il loro elettorato del Sud.

«Abbiamo ricordato a Tria che manteniamo le nostre promesse», sottolinea, non a caso, il ministro Riccardo Fraccaro. Il messaggio di «guerra» pentastellato ieri, attraverso Conte, è arrivato ben chiaro a Tria, e forse anche al presidente Sergio Mattarella, ben consapevole che una crisi dell'esecutivo alle porte della manovra sarebbe stata deflagrante per la stabilità italiana. Ed è su questo terreno che il M5S, con il pieno appoggio di Salvini e con Giancarlo Giorgetti che, fino all'ultimo, caldeggiava prudenza, ha potuto forzare.

Con un'appendice non di poco conto: l'aver «ceduto» all'influenza della Lega la gestione della ricostruzione del Ponte Morandi, affidata al neo commissario Claudio Gemme, manager di lungo corso che, alle ultime elezioni, era stato tra i papabili candidati del centrodestra a sindaco di Genova. L'appoggio della Lega, oggi, non ha tardato a farsi sentire, soprattutto in chiave anti-Ue, ovvero sul terreno prediletto da Salvini in vista delle prossime Europee.

Certo, la cifra del 2,4%, è solo l'inizio di una partita tutta da scrivere con alcune misure, come la pensione di cittadinanza, che continuano a seminare dubbi tra i leghisti e, soprattutto, nel loro elettorato. E forse anche la linea attendista del Colle guarda alla composizione della manovra vera e propria, dove la moral suasion di Mattarella potrà certo emergere. Per ora dal Quirinale filtra «preoccupazione per la tenuta dei conti».

Conti sui quali, invece, il governo assicura serietà.
Anzi, nel M5S notano come, dopo le dichiarazioni di questo pomeriggio di Conte, lo spread sia, pur lievemente, calato. E sarà proprio Conte, nelle prossime settimane, a cercare di convincere gli eurocrati di Bruxelles che il governo non è composto da «una banda di scalmanati». Ma, ironia della sorte, il primo ad illustrare i principi della manovra giallo-verde in Ue sarà Tria. Il 1 ottobre all'Eurogruppo, il giorno successivo all'Ecofin, Tria si troverà a difendere qualcosa che, in fondo, ha dovuto subire, giungendo ai grandi consessi europei con il sospetto di essere commissariato. Un sospetto che in queste ore tiene il ministro il grande ambasce, come riferiscono sempre le fonti parlamentari che, solo ieri, descrivevano il ministro come caratterialmente «saldo».
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