LA QUOTA L'asticella dell'affluenza di oggi, dunque, non equivarrà al classico dato secondario che fa da trampolino ai dati dei candidati e dei partiti. sarà invece un dato importante anche se la tendenza a snobbare le votazioni locali è già abbastanza consolidata. Basti pensare alle ultime comunali di Roma, quelle del 2013, quando si recò alle urne solo il 52,8% degli aventi diritto.Poche settimane fa è stato il Censis, il Centro Studi guidato da Giuseppe De Rita, a mettere nero su bianco le cifre della disaffezione verso i sindaci. A Roma nelle ultime tre tornate amministrative hanno votato 572.000 elettori in meno (-31,5% tra il 2001 e il 2013), 225.000 in meno a Milano (-25% tra il 2001 e il 2011), 166.000 in meno a Torino (-26,1% nello stesso periodo), 89.000 in meno a Napoli (-15,4% nello stesso periodo), 46.000 in meno a Bologna (-17,5% nel periodo 2004-2011), 20.000 in meno a Cagliari (-16,9% tra il 2001 e il 2011), 20.000 in meno a Trieste (-16,2% nello stesso periodo).«Nelle sette più importanti città italiane dove si vota oggi, nel giro di una decina d'anni si sono volatilizzati ben 1.138.000 elettori - spiegano i ricercatori del Censis - Si tratta del corrispettivo degli abitanti di due intere città grandi come Torino e Trieste messe insieme». Perché? Per i sociologi deritiani la risposta è chiara: «Dopo la grande stagione dei sindaci forti, inaugurata con l'elezione diretta e la forte personalizzazione delle candidature, è subentrata una fase di disillusione con una impennata dell'astensionismo».
A Roma si è passati da un'affluenza pari al 79,4% alle elezioni comunali del 2001 (primo turno) al 52,8% di votanti nel 2013 (con una differenza del tasso di partecipazione al voto pari a -26,6%). A Milano la crescita dell'astensionismo si misura in 14,7 punti percentuali in meno di votanti (sono scesi dall'82,3% del 2001 al 67,6% del 2011). A Torino c'è stato un crollo dall'82,6% al 66,5% tra il 2001 e il 2011, con una differenza di votanti pari a -16,0%. A Napoli si passa dal 68,2% (2001) al 60,3% (2011), cioè 7,8 punti percentuali in meno. Non che il fenomeno del boom dell'astensionismo non abbia toccato anche le elezioni politiche ma lo sviluppo nel tempo delle due tendenze non è paragonabile. Basti pensare che alle comunali romane del 93 votarono in 1.824.000 pari al 78,7% degli elettori. Alle politiche di un anno dopo, quelle che incoronarono a sorpresa Silvio Berlusconi, l'affluenza nazionale fu dell'87,4% (e di circa l'85% nella Capitale). Nel 2013, invece, a Roma Ignazio Marino risultò vincente nel primo turno che vide votare solo 1.245.000 romani (come detto, il 52,8% del totale degli elettori) mentre alle politiche dello stesso anno si recò a votare il 75,2% degli italiani (e il 77,5% dei romani).
LE PARTITE In questo contesto, può essere interessante ricordare i dati di partenza generali delle elezioni di domani. Dei 25 sindaci dei comuni capoluogo dove oggi si vota, 20 sono di centro-sinistra, 1 della sinistra a sinistra del Pd (De Magistris a Napoli) e 4 del centro-destra. Gli eletti del centro-sinistra, come ieri ha ricordato il senatore Federico Fornaro del Pd, che da sempre studia gli andamenti elettorali, avevano ottenuto in media il 43,3% dei consensi, distanziando nettamente quelli sostenuti dal centro-destra (33,8%). «Percentuali molto simili nei sette comuni capoluogo di regione - sottolinea Fornaro - Con il 42,8% al centro-sinistra e il 33,7% al centro-destra, con il Pd al 27% (più liste civiche al 3,8%) e il Pdl al 21,5%. Sel aveva il 5,8%. Il Movimento 5Stelle era agli albori con il 7,3%».Secondo Fornaro sarà interesante capire i flussi elettorali ed in particolare quello fra i grillini e l'area dell'astensionismo. Ma la partita più importante resta un'altra: i nuovi sindaci potranno contare su una suficiente massa-critica di consenso da parte dei propri concittadini?