«È in corso il dibattito parlamentare per dotare finalmente l'Italia di una norma penale contro la
tortura: una prerogativa delle parti politiche», ha tenuto a sottolineare Grasso che ha voluto però ricordare come il diritto internazionale, così come si legge nella dichiarazione Onu del 10 dicembre 1984, fissi paletti precisi richiedendo «che si vietino e puniscano le condotte dei pubblici ufficiali che provocano grave sofferenza fisica o psichica su persone in stato di detenzione o comunque sotto il loro controllo, al fine di punirle indebitamente, di estorcere confessioni o informazioni».
Ed è però proprio sulla definizione di tortura che i partiti continuano a litigare: «Noi dobbiamo - spiega il presidente della commissione Giustizia del Senato e uno dei relatori al ddl, Nico D'Ascola (Ap) - garantire un equilibrio normativo mentre rischiamo che la norma venga ideologizzata e che dunque non si risolva il problema».
Al centro delle polemiche il ruolo delle forze di polizia: nel testo messo a punto dalla commissione del Senato, e un anno fa approvato all'unanimità, si prevede che chiunque, anche un privato cittadino, possa essere accusato di reato di tortura. Un'ampliamento che non convince tutti ma che D'Ascola difende: «Non è riduttivo: noi così applichiamo la convenzione internazionale e l'ampliamo ai privati». Un fatto necessario, prosegue, se si pensa ai «contesti terroristici, al traffico di droga». Eppure, è il timore espresso dal senatore di Mdp Felice Casson è che «il centrodestra voglia far saltare tutto». Il testo già «così è al ribasso rispetto a quello Onu. Oltre non si può andare». Per trovare un punto di caduta non è escluso che la maggioranza decida di riunirsi nel corso della mattinata, prima della seduta dell'Assemblea prevista nel pomeriggio: l'obiettivo infatti resta quello di evitare di affossare il testo.
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