Sicilia, riecco le Province ma i sindaci si ribellano

Sicilia, riecco le Province ma i sindaci si ribellano
di Antonio Calitri
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Sabato 9 Dicembre 2017, 10:54 - Ultimo aggiornamento: 10 Dicembre, 11:40
In Sicilia scoppia la nuova guerra per far tornare il voto nelle province siciliane, trasformate solo di nome in città metropolitane e liberi consorzi di comuni ma che dopo il taglio dei deputati regionali dell'Ars da 90 a 70 possono diventare un poltronificio per chi non ce l'ha fatta a entrare nel parlamentino regionale e per creare nuovi serbatoi di voti.

Con il nuovo governatore Nello Musumeci che in continuità con il predecessore Rosario Crocetta, come primo atto del suo governo ha deciso di ricorrere alla Consulta contro l'impugnativa del governo sulla legge che lo scorso agosto, con un blitz all'Ars, ha ripristinato il voto nelle città metropolitane e nei liberi consorzi, cancellando la precedente legge regionale che aveva recepito la riforma Delrio in vigore nelle regioni a statuto ordinario.
Non solo. A novembre Leoluca Orlando ed Enzo Bianco, in virtù della precedente legge sulle province erano diventati anche sindaci delle città metropolitane di Palermo e Catania, hanno ottenuto la sospensiva al Tar contro la destituzione voluta da Crocetta che aveva nominato i commissari straordinari (anche a Messina che però non ha fatto ricorso) in attesa di procedere con il voto diretto e l'elezione del nuovo consiglio. Subito è incominciata a girare voce all'interno dell'Ars che la nuova maggioranza voglia approvare una legge di interpretazione autentica per superare quanto deciso dal tribunale amministrativo e far dichiarare la decadenza di Bianco, Orlando e Renato Accorinti a Messina. Con i sindaci metropolitani che a loro volta si preparano a ricorrere al Consiglio di Stato.

LANCETTE ALL'INDIETRO
In mezzo a questa battaglia che vuole portare le lancette indietro nel tempo e a seconda dei punti di vista delle parti in campo, vuole ristabilire la democrazia o le clientele, ci sono in ballo un miliardo e settecento milioni di euro che ha ottenuto la Sicilia come devoluzione di una parte dell'Irpef per essersi riallineata alla riforma Delrio sulle province nazionali. E che una controriforma potrebbe comportare qualche nuova incertezza sul disastrato bilancio regionale e sulla vita dei siciliani.

Ad agosto, in un clima di smobilitazione e con la vecchia maggioranza di centrosinistra a pezzi, con un vero proprio blitz e chiedendo il voto immediato i deputati dell'Ars hanno approvato una nuova legge per ripristinare il voto diretto nelle città metropolitane e nei liberi consorzi, smentendo sia la legge nazionale Delrio, sia la legge regionale che anche in cambio di ingenti fondi salva bilancio aveva allineato le province siciliane a quelle nazionali con l'elezione dei consigli di secondo livello. Una legge che era passata con 32 favorevoli su 47 votanti, a fronte di un'assemblea che conta 90 deputati.

Un apparente smacco per Crocetta che già nel febbraio 2013 aveva garantito che avrebbe abolito le province, intese come rifugio di politici e clientele, mentre dopo l'approvazione si è subito adeguato firmando la decadenza dei tre sindaci metropolitani Orlando, Bianco e Accorinti.

In molti lessero quell'atto come una vendetta contro il primo cittadino di Palermo, suo tenace avversario all'interno del centrosinistra ma Crocetta replicò che era un atto dovuto e che «devo commissariare gli enti e non posso fare altrimenti. Orlando, Bianco e Accorinti non hanno titolo per stare lì. Non mi possono chiedere anche questo sacrificio».

E questo nonostante durante l'approvazione della nuova legge, il deputato regionale Michele Cimino garantiva che la legge valeva per il futuro e che «non c'è problema né per il sindaco Orlando, né per il sindaco Bianco». I due sindaci hanno fatto ricorso al Tar e a fine novembre hanno ottenuto la sospensiva dei decreti di rimozione e si sono ripresi il posto che era stato giù occupato dai commissari nominati da Crocetta, Girolamo Di Fazio e Salvo Cocina.
Un provvedimento che il sindaco Orlando, che tra l'altro è anche professore di diritto pubblico regionale, aveva commentato all'indomani della vittoria al Tar, «è tecnicamente di sospensione ma che già nel merito esprime forti giudizi sulla illegittimità formale degli atti adottati dalla Regione».


 
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