Parte la sfida fiscale di Renzi per evitare agguati al governo

Parte la sfida fiscale di Renzi per evitare agguati al governo
di Alberto Gentili
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Domenica 9 Agosto 2015, 06:27 - Ultimo aggiornamento: 13:16
ROMA - «Piaccia o non piaccia ai Bersani e ai D'Alema, ho preso un impegno con gli italiani e potete star certi che abbasserò le tasse». Prima di partire per le vacanze, Matteo Renzi è tornato a battere con i suoi collaboratori sul tasto più amato: la riduzione fiscale. Per il premier la sforbiciata alle tasse è una sorta di assicurazione sulla vita.

Con la maggioranza che arranca e si sgretola al Senato e con la minoranza dem che punta a far cadere il governo, alzare la bandiera più amata dagli italiani è per Renzi il modo per dimostrare «l'insostituibilità» del suo esecutivo. E per coagulare sostegno e consensi nell'opinione pubblica. «Loro tramano, io faccio le riforme e ridurrò le tasse di ben 50 miliardi in 5 anni». Partendo dall'abolizione della Tasi sulla prima casa il prossimo anno, passando per la riduzione dell'Irap e Ires per le aziende nel 2017 e arrivando a un taglio dell'Irpef per i ceti medio-bassi e pensionati nel 2018. Guarda caso l'anno delle elezioni, se queste non arriveranno prima.

LA STRATEGIA

Renzi è convinto che forte di questa mission, messa nero su bianco in settembre nella legge di stabilità per il 2016, Bersani & C. non potranno sferrare l'attacco fatale. Ma tra vedere e non vedere, dopo aver riallacciato i rapporti con Forza Italia in occasione della nomina dei vertici Rai, il premier sta esplorando la pista di riesumare il Patto del Nazareno. Con i voti di Silvio Berlusconi, infatti, i senatori dem ribelli tornerebbero a essere ininfluenti.

Qualcosa in Forza Italia si muove. Da giorni Gianni Letta e Fedele Confalonieri spingono il Cavaliere a tornare al tavolo con il premier. Anche perché (e soprattutto) preso Renzi metterà mano al testo unico delle telecomunicazioni. E senza un accordo con il premier, per Mediaset potrebbero essere dolori. Non a caso ieri il senatore forzista Altero Matteoli ha dichiarato: «Un partito come Forza Italia, che ha cultura di governo, ha l'obbligo di stare al tavolo delle riforme».



Come annunciato il 19 luglio, quando lanciò il ”Patto con gli italiani”, Renzi promette «tagli alle tasse in cambio di riforme». Il primo step, nel 2016, sarà la cancellazione della Tasi sulle prime case (la misura riguarda 25 milioni di famiglie). Costo dell'operazione: 4,5 miliardi, compresa l'Imu agricola e l'Imu sui macchinari “imbullonati”. Poi sarà stanziato 1 miliardo per misure «contro la povertà» e poco meno di due miliardi per confermare la riduzione del costo del lavoro a tempo indeterminato. Più circa un miliardo per la ristrutturazione e la razionalizzazione della tassazione sugli autonomi, introducendo ad esempio la deducibilità dei corsi di formazione. Sempre per il prossimo anno la legge di stabilità prevederà uno stanziamento di 1,7 miliardi con cui rinnovare i contratti dei dipendenti statali. Misura resa necessaria dalla sentenza della Consulta e che costerà complessivamente, da qui al 2018, circa 7 miliardi.



Con un problema non da poco: dalla spending review dovrebbero arrivare solo 10 miliardi e a queste cifre dovranno essere aggiunti i 16,2 miliardi necessari per evitare che scattino le clausole di salvaguardia che hanno accompagnato il mancato aumento dell'Iva di 2 punti. Così si parla di una manovra da ben 33 miliardi e già si annuncia un braccio di ferro con Bruxelles. Renzi e il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, sperano di poter ricorrere alla clausola per le riforme strutturali. Ma dalla Commissione hanno fatto sapere che l'Italia ha già utilizzato i margini di flessibilità concessi dai trattati: 0,4% punti di Pil per l'anno in corso, pari a 6 miliardi. La speranza del premier è che la crescita (ancora incerta però) offra un po' di ossigeno in più, permettendogli di non gravare sul rapporto deficit-Pil.

C'è poi il capitolo Sud. Renzi ha promesso che in settembre il Pd varerà un masterplan per lo sviluppo del Mezzogiorno. Questo, con ogni probabilità, si tradurrà in qualche misura di defiscalizzazione (ad esempio per le assunzioni), nell'intervento per la banda larga e nella riprogrammazione dei fondi europei ancora non spesi. Si tratta di una montagna di denaro, pari a 104 miliardi. Di questi, 50 riguardano il periodo 2007-2013 e 12,3 rischiano di tornare a Bruxelles se non verranno impiegati entro fine anno. E altri 54 miliardi fanno parte del nuovo periodo di programmazione 2014-2020. Il problema è che finora, nonostante gli sforzi dei governi Monti, Letta e Renzi, l'Italia è stata capace di utilizzare appena il 46% dei fondi europei.