Sei senatori del Pd verso il no, in arrivo 15 voti da Gal e M5S: Civati pronto all'addio

di Nino Bertoloni Meli
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Sabato 22 Febbraio 2014, 07:59 - Ultimo aggiornamento: 08:02
Evocare la scissione magari no, sarebbe troppo enfatico. Ma qualcosa che le assomiglia, s. Né si tratta di piccola fronda. L’annuncio è questo: Pippo Civati e i sei (dicono) civatiani al Senato non voteranno la fiducia al governo Renzi. Ergo, si autopongono fuori dal partito. Ma non se ne staranno lì in attesa di un Godot politico. Tutt’altro, l’approdo sarebbe già pronto: dar vita a un gruppo parlamentare assieme a quelli di Nichi Vendola. C’è pure il nome: Nuovo centrosinistra. «Sì, intendiamo dar vita a questa formazione, assieme a Sel e magari a qualche grillino dissidente, di là c’è Ncd, di qua ci sarà Ncs, uscire dal Pd potrebbe essere un’ipotesi reale», conferma Corradino Mineo, tra le menti ispiratrici dell’operazione.



Conferma a sua volta Nicola Fratoianni, braccio destro di Vendola alla Camera: «Se i civatiani confermano il loro dissenso, e se lo portano alle estreme conseguenze, è logico che ci sarà un’interlocuzione naturale che può avere sviluppi politici importanti». Per fare gruppo al Senato occorrono dieci parlamentari: quelli di Sel sono 7, i civatiani dissidenti altrettanti, quindi anche se qualcuno all’ultimo momento si pente, tuttavia le premesse ci sono tutte, numeriche e soprattutto politiche. All’operazione potrebbero addirittura aggregarsi senatori sparsi di provenienza grillina (quattro o cinque, si dice), sia perché il comico ha ricominciato la campagna di espulsioni, sia perché è proprio a palazzo Madama che il grillismo incontra più resistenze e dissensi. Non sfugge a nessuno che votare contro la fiducia al governo guidato dal proprio segretario, pone automaticamente fuori. Le premesse vanno tutte in questa direzione. «Direi che è il governo Matteo Letta», bacchetta Civati, «più che un nuovo esecutivo è un rimpasto». Poi l’annuncio in semi democristianese: «Questo governo non aiuta un percorso di condivisione».



I movimenti Ma se il Pd renziano rischia di perdere sei voti ex sicuri al Senato, potrebbe comunque incassarne di altri, se non di più, per cui alla fine l’operazione numerica sarà in saldo attivo, ma quella politica non si sa. Per sei civatiani persi a palazzo Madama, se ne acquisterebbero una quindicina ma quasi tutti sul versante di centro, con il che l’asse della maggioranza si sposterebbe un po’ meno a sinistra. Dunque: il Renzi uno può contare al Senato su una maggioranza di 173, se perde i civatiani arriva a 167, che è sempre maggioranza, ma stanno lì lì pronti per dare la fiducia quasi tutti gli 11 di Gal, più 4-5 grillini, mentre sono assicurati i 12 Popolari per l’Italia, gli 8 di Sc, e i 12 autonomisti, oltre ovviamente ai 31 alfaniani di Ncd. C’è poi l’annuncio di Paolo Naccarato, presentato come una certezza: «Non appena si capirà come andrà a finire la vicenda di Berlusconi, Ncd al Senato raddoppierà, da 31 passeremo almeno a 60».



La tensione Ma è nel Pd che si respira la maggiore aria di tensione. C’è Gianni Cuperlo che chiede di «aprire una riflessione» dentro il partito su che fare ora che il segretario è diventato premier. Non l’apertura di un dibattito sul doppio incarico, per carità, manco fossimo ai tempi di De Mita e Forlani o di Craxi, ma almeno «per capire che cosa intende fare Renzi del partito, che idea ne ha». E ci sono i lettiani, che con Francesco Boccia infrangono la consegna del silenzio per chiedere la convocazione della direzione prima della fiducia, «mica si può convocarla solo per cambiare il premier, bisognerà ora discutere della squadra e del programma del nuovo governo». Annuncio di battaglia.



E al Nazareno? Lo statuto prevede l’identità di premier e leader, nonché la convocazione dell’assemblea nazionale per eleggere un vice segretario con funzioni di reggente. L’ipotesi è di arrivare a una troika formata da Guerini (reggente), Lotti e Serracchiani, quest’ultima con l’incarico di portavoce. In segreteria ci sarà poi un bel rimpasto, visto che in quattro (Renzi, Mogherini, Madia, Boschi) sono andati al governo.