Senato e dintorni/ Le manovre d’autunno per le alleanze sono partite

di Alessandro Campi
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Giovedì 21 Luglio 2016, 00:05
Il voto di ieri al Senato, che a maggioranza non ha autorizzato l’uso da parte dell’autorità giudiziaria delle intercettazioni telefoniche tra Silvio Berlusconi e le cosiddette “Olgettine”, è l’ultimo segnale del fatto che all’interno del Parlamento e tra le forze politiche sono cominciate le grandi manovre in vista del referendum costituzionale del prossimo ottobre e, soprattutto, di un appuntamento elettorale che potrebbe non coincidere con la scadenza naturale della legislatura. 
L’esito del referendum, come mostrano tutti i sondaggi, è quanto mai incerto. Soprattutto nessuno ha chiaro cosa potrebbe accadere all’indomani del voto, quale che ne sia l’esito. Non è detto che vincendo il “no” cada il governo e si vada ad elezioni anticipate. Così come non è per nulla sicuro che vincendo il “sì” sia scongiurato un ricorso anticipato alle urne. Si respira dunque un clima di nervosismo e di grande incertezza che preoccupa l’esecutivo, visti i numeri precari di quest’ultimo al Senato, e che al momento sta producendo fibrillazioni e divisioni soprattutto tra i centristi che sostengono la maggioranza. 
In questo momento, la loro influenza sulle scelte del governo (dove occupano tre importanti ministeri) è grande a dispetto dei numeri ridotti che possiedono. Se ne è avuta una prova due giorni fa, allorché il Nuovo Centrodestra di Alfano ha preteso e ottenuto il rinvio del disegno di legge che dovrebbe introdurre il reato di tortura nel nostro ordinamento. 

 
Un reato giudicato inopportuno con la minaccia del terrorismo che incombe e con le forze di polizia impegnate nel contrastarlo. Ncd ha poi ottenuto anche il rinvio del provvedimento che dovrebbe allungare i tempi della prescrizione per alcuni reati (giudicato in contrasto col principio di ragionevole durata del processo). Ciò non toglie che i centristi, per quanto oggi numericamente indispensabili e decisivi, abbiano dinnanzi a sé un futuro politico assai incerto e problematico. È il problema aperto da Renato Schifani con le sue polemiche dimissioni da capogruppo di Area popolare (Ncd e Udc) al Senato. Al momento la collaborazione con Matteo Renzi sembra funzionare, come dimostrano le aperture e le concessioni fatte da quest’ultimo agli alleati anche a costo di scontentare il suo stesso partito.

Ma domani? Una volta conclusasi l’esperienza del governo di larghe intese cosa ne sarà dei moderati che oggi sostengono il centrosinistra? Da un lato sembra tramontata l’ipotesi di un “partito della nazione”, da costruire sulle ceneri del Pd, del quale essi avrebbero potuto organicamente far parte: Renzi ha infatti capito che un simile esperimento gli farebbe perdere voti alla sua sinistra senza dargli la certezza di guadagnarne al centro. Dall’altro comincia a serpeggiare il dubbio che legare il proprio destino a quello del Presidente del consiglio potrebbe rivelarsi un errore doppiamente fatale. Se Renzi perde il referendum trascinerà nella caduta tutti i suoi attuali compagni di strada.

Se lo vince diventerà forte al punto da non ritenere più indispensabili alle prossime elezioni, peraltro con la legge elettorale vigente, la pattuglia del centrodestra. Si spiega così la tentazione, che serpeggia in alcuni settori centristi sempre più timorosi di essere prima o poi divorati dal dragone renziano, di un avventuroso ritorno alla casa madre, verso un centrodestra che è certo da rifondare nei suoi equilibri interni e nel suo profilo progettuale, ma che probabilmente rappresenta l’unica àncora di salvezza, anche sul piano personale, per quanti a suo tempo – non senza buone ragioni – hanno abbandonato il Pdl. Berlusconi, sebbene ancora convalescente, sembra tornare così al centro della scena in una duplice, ma convergente, veste. Da un lato quella di arbitro del futuro del governo, che se dovessero proseguire le defezioni centriste verso Forza Italia potrebbe presto trovarsi senza più una maggioranza.

E chissà che non vada spiegato proprio come un segnale d’attenzione e una richiesta implicita di collaborazione il voto di ieri al Senato, sempre che siano stati i parlamentari del Pd (che però pubblicamente negano dando invece la colpa ai grillini) a votare nel segreto dell’urna contro l’uso delle intercettazioni.
Dall’altro quella di unico possibile ispiratore di un’aggregazione politica che sia alternativa, al tempo stesso, alla sinistra renziana e al populismo grillino e che soprattutto abbia, quando si andrà a votare, una qualche possibilità di affermazione elettorale. Che il futuro di quest’area sia nella “grande casa” dei moderati (o come si chiameranno) più che una previsione è una ragionevole certezza. L’autunno porterà consiglio?<QA0>
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